La galleria incompiuta della Solitudine (photo by Luca Mele)
A giudicare la politica è la realtà, non viceversa
Io progetto, tu stoppi e lui archivia
di Francesco Mariani

8 Marzo 2023

4' di lettura

Niente cresce senza il basamento e le fondamenta di chi ci precede. È cosa ovvia, o dovrebbe esserlo. Nessuno di noi, neanche il più creativo, inizia o inventa il mondo. Non si costruisce sulla sabbia ma sulla roccia. Su una continuità e non sull’improvvisazione di comodo e di interesse. I nostri progetti, diceva il buon profeta Isaia sono come la brina che svanisce al sorgere del sole. Belli, inenarrabili, stupendi e, declinabili con la canzone di Vecchioni: “Si spezza la collana, le idee van giù/ Stan rotolando un po’ di qua e di là/ E tutti a dirmi come raccoglierle/ Non c’è nessuno qui che non lo sa”.

Voi nuoresi naschios e paschios, e noi inurbati, biddas e biddizzolos, i nostri paesi contigui, dal punto di vista politico e geografico, cosa dovremmo dire? Che Nuoro non è più un capoluogo, che la Provincia c’è giusto “ca b’at l’occu”, che si moltiplicano enti ed organismi intermedi senza una visione e progettazione complessiva, che siamo in mano ad un infinito commissariamento, che (come nel film di Totò) ognuno reca in cimitero la salma di se stesso. 

Lo spopolamento, la denatalità, l’inversione della base demografica hanno innumerevoli effetti collaterali. Quelli che vogliono andarsene sono molti di più di quelli che lo possono. Nel nostro territorio sta restando chi per tante ragioni vi è obbligato, quasi dannato: ma la componente più giovane, creativa, formata ed intraprendente cerca altri lidi. Negli anni ottanta, su L’Ortobene, venne lucidamente segnalato un sintomo ignorato ma molto significativo di quanto avviene oggi: commercialisti, avvocati, ingegneri, medici, liberi professionisti aprivano un loro ufficio ad Olbia. Quella che allora era una succursale lavorativa è diventata oggi la centrale. E si diceva anche che investire nella cittadina gallurese costava meno e rendeva di più che a Nuoro. Invece nella fu Atene Sarda ci si continuava ad illudere di poter vivere di rendita amministrativa, politica, di apparati burocratici, di terziariato. Si continuava a cullare il mito del “su postu” nel pubblico impiego (gonfiato all’inverosimile) senza dare adeguata attenzione alla base produttiva ed imprenditoriale, elargendo pensioni ossia il corrispettivo dell’attuale reddito di cittadinanza. 

In successione, perché ognuno che arrivava al timone pensava di cambiare rotta, variavano gli obiettivi strategici: polo industriale di Ottana, polo universitario, polo ambientale (parco del Gennargentu), polo turistico, polo archeologico-storico… Tanti “polli” e progetti redatti ad immagine e somiglianza di chi li proponeva e lasciati morire da chi subentrava. Questo è anche uno dei motivi perché nel nostro territorio non si riesce a portare a termine un’opera strutturale pubblica (che sia la diga di Cumbidanou piuttosto che la bretella Pratosardo-131 o la cittadella dello sport). Un’amministrazione scommette sulla circonvallazione che da sotto il cimitero, attraversando Preda ‘e Istrada, doveva congiungersi con Via Mannironi, la successiva, a lavori iniziati, ci ripensa e chiude il capitolo. 

Nel frattempo, dal settembre 1981, ogni mattina, su Radio Barbagia, mi ritrovo a parlare della Cartiera di Arbatax, dell’aeroporto di Tortolì, del risanamento dell’area industriale di Ottana, di tale strada e di tale caserma dismessa, di tale cantoniera e di tale collegamento viario rimpallato tra un comune e la Provincia, di tali beni demaniali ceduti a privati ed oggetto di infinite indagini, un centro per persone autistiche pronto da molto tempo a Marreri e ancora non entrato in funzione (roba da psichiatria! Ma qui non funziona manco quella). Un passato che non finisce mai di passare perché non si vuole cambiare pagina. 

Ci si è illusi che fosse la politica a giudicare la realtà e la verità della vita: invece è la vita che giudica la politica. 

Nel delirio di onnipotenza, ossia in mancanza di una moralità, l’interesse individuale o di sodalizio si afferma, prima o poi, al di sopra di ogni legge, sul bene comune ed ogni ragionevole programmazione. Quando il potere coincide col proprio ombelico non ci sono più cittadini ma sudditi da imbonire. Convinti che prima di me c’era la siccità e dopo di me ci sarà il diluvio.

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