Vaticano, 6 ottobre 2024: Papa Francesco presiede il Santo Rosario per la Pace nella basilica di Santa Maria Maggiore (photo by Vatican Media/Sir)
Ad un anno dal 7 ottobre un’invocazione di pace
di Francesco Mariani

10 Ottobre 2024

4' di lettura

Il 7 ottobre è per gli israeliani il corrispettivo dell’11 settembre per gli americani. Un giorno nefasto che ha fatto esplodere paure ataviche e voglia di vendetta. Da più parti si invoca la pace e si chiede di deporre le armi. Ma sono appelli inascoltati.

La Chiesa ha indetto una giornata di preghiera e digiuno in occasione del tragico anniversario. Con lo sguardo rivolto all’icona della Salus Populi Romani, collocata sull’altare maggiore della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, nel pomeriggio di domenica 6 ottobre, papa Francesco ha presieduto la recita del Rosario. Un momento di preghiera, in comunione con tutti i cristiani, per invocare la pace nel mondo.
Ad un anno dall’attacco «terroristico contro la popolazione in Israele, rinnovo la mia vicinanza – aveva detto, il Papa all’Angelus -. Non dimentichiamo che ancora ci sono molti ostaggi a Gaza, per i quali chiedo l’immediata liberazione. Da quel giorno il Medio Oriente è precipitato in una sofferenza sempre più grave, con azioni militari distruttive che continuano a colpire la popolazione palestinese. Questa gente sta soffrendo tantissimo a Gaza e negli altri territori. Si tratta perlopiù di civili innocenti, gente che deve ricevere tutti gli aiuti umanitari necessari. Chiedo un cessate il fuoco immediato su tutti i fronti, compreso il Libano».

I cristiani sono quelli che probabilmente soffrono di più in questo contesto di odio e di rivalse. «Nonostante le ingiustizie che subiscono da tutte le parti, cercano una convivenza di pace, sia con gli ebrei, che con i musulmani. E se quest’ultimi invocano Allah perché è grande e gli ebrei sottolineano che Dio è con loro, i cristiani proclamano, invece, che Dio è amore, la più sublime definizione sull’Essere Supremo».  

Dopo un anno di guerre le parole di pace hanno ceduto all’assuefazione, e alla rassegnazione. Molti stanno lasciando Betlemme e anche Gerusalemme. «È uno dei momenti più difficili e dolorosi della storia della Terra Santa», ha dichiarato il patriarca di Gerusalemme dei Latini, cardinale Pierbattista Pizzaballa. Il quale ha aggiunto: «è necessario pregare, portare il nostro dolore e il nostro desiderio di pace a Dio, preservando il cuore da ogni sentimento di odio, e custodendo invece il desiderio di bene per ciascuno».

Ed è sempre Pizzaballa a fornirci una considerazione emblematica: «I conflitti non sono quasi mai solo politici e militari. Alla radice ci sono sempre anche ragioni culturali, storiche, identitarie. Che questo conflitto abbia una dimensione antropologica è fuori di dubbio. Ci sono due diverse visioni del mondo, della società, dell’uomo. Totalmente diverse… Le prospettive qui non potranno mai essere di integrazione ma, al meglio, di convivenza civile e rispettosa. Un vivere in condominio dove ognuno però rimane se stesso, con la propria cultura, i propri costumi, la propria identità. È difficile ma è possibile. La nostra piccola comunità interetnica, la Chiesa cattolica, resta un piccolo segno. Certo, non faremo mai scuola, ma questa nostra fatica — perché anche al nostro interno è faticoso conservare questa unità — deve restare il segno di un modo diverso di vivere e relazionarsi. E dovrebbe anche essere uno dei modi con i quali la Chiesa fa la differenza in questa terra sempre così divisa su tutto».

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