17 Giugno 2021
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Tra le tante suggestioni sessantottine c’era quella di sovvertire la mercificazione di tutto, dalla cultura all’arte, dall’estetica al corpo. Si contestava la riduzione dell’uomo ad un’unica dimensione: quella economica, produttiva, industriale. Marcuse, epigono spurio della Scuola di Francoforte, era diventato il nuovo messia. Per una eterogenesi dei fini, per conseguenze non intenzionali, per ironia della storia, il vituperato Mercato ne è uscito più forte di prima, più globale che mai, tanto da diventare criterio unico dell’immaginario e della quotidianità. Se nei classici del comunismo si parlava contro la mercificazione del lavoro e del lavoratore, oggi è lo stesso corpo umano, per intero o nelle sue singole componenti, ad essere ridotto ad oggetto, ad un qualcosa su cui speculare come si fa con lo zucchero o le patate. Merce, appunto. Su autorevoli riviste non è raro trovare annunci con allettanti promesse di denaro in cambio di ovociti di giovani donne. Esse, ovviamente, debbono possedere alcuni requisiti estetici, atletici, intellettuali ed altro. Una forma modernissima e democratica dell’allora funesta selezione della razza ariana. Il traffico internazionale, anche legale, di reni e altri organi va alla grande. Come pure quello dei bambini per l’adozione. Fiorente è pure il mercato delle maternità in affitto, note come “maternità surrogata” o “utero in affitto”. Una mercificazione abominevole che non fa più inorridire femministe varie e noti esponenti della sinistra italiana. Il Mercato intercetta il naturale desiderio di paternità e maternità con una varietà sempre crescente di tecnologie riproduttive, incluse l’inseminazione artificiale eterologa, l’espianto di ovuli da una donna in un’altra, la fecondazione in vitro. Per il futuro si pensa ad uteri artificiali e a tecniche di clonazione, brevetti del DNA. In Italia è cresciuto a dismisura il mercato delle immagini con corpi femminili. Gli autori televisivi che le mettono in vetrina sono degli osannati innovatori artistici. Tv e web sono il bancone sul quale deve essere esposta la merce. In quel bancone ciascuno può trovare la disponibilità del corpo che più gli piace o di qualcuno simile. Come al mercato di San Benedetto, a Cagliari, per i pesci. L’immagine femminile, meno di quella maschile (e comunque opportunamente effemminata), è d’obbligo in ogni pubblicità: un oggetto allettante accanto a qualcosa da vendere ed un messaggio implicito del tipo “paghi uno e compri due”. Alle donne-merce, il Mercato ha abbinato lo stand del sesso. Per talune la vendita di sé è una scelta consapevole, per troppe c’è solo il denaro, la sopravvivenza (specie se extra-comunitarie), in alcuni casi l’illusione o la realizzazione di una certa ricchezza. Cose che accadono a Nuoro e non solo a Milano. Comunque si tratta di un’ennesima affermazione del maschio padrone, convinto che con i soldi può comprare tutto. E così fa passare la donna da persona ad immagine e poi a corpo da usare. Le cronache sono piene di episodi di ricatti, scambi di favori, promozioni, carriere professionali, arricchimenti generati da prestazioni sessuali. Non era insomma solo Cleopatra a considerare il suo corpo e la sua sessualità succedanea della politica e dell’economia. Per concludere: il sesso, qualunque sia il suo genere, è diventato un grande affare, in inglese business. Ed è governato dagli stessi principi di qualsiasi altra attività commerciale: “domanda e offerta”. Se hai un prodotto qualcuno compra e qualcuno vende. Noi, invece, pensiamo e crediamo di essere ancora persone, fatte ad immagine e somiglianza di Dio, cosa non spendibile sul Mercato. © riproduzione riservata