Brucia il cuore dell’Europa
Intervista allo storico dell'Università di Pavia ed esperto di teoria militare Gastone Breccia
di Franco Colomo

4 Marzo 2022

7' di lettura

Nella notte tra il 23 e il 24 febbraio la Russia ha dato il via all’invasione dell’Ucraina. Prima di ogni altra considerazione è giusto dare un nome alle cose, c’è un aggredito e un aggressore, come – per restare nella storia dell’ex Urss – in Ungheria nel 1956, in Cecoslovacchia nel 1968, in Afghanistan nel 1979. Con una manovra a tenaglia l’esercito russo è penetrato in Ucraina dalla Bielorussia a nord e dalla Crimea a sud. Il governo di Kiev ha dichiarato lo stato di emergenza, la legge marziale e ha rotto le relazioni diplomatiche con Mosca. Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha dichiarato che l’alleanza ha messo in stato di allerta cento aerei da guerra nei suoi territori orientali. «In queste ore buie – ha detto la presidente della commissione europea Ursula von der Leyen – l’Unione europea è al fianco dell’Ucraina e della sua popolazione». L’edizione del 25 febbraio del giornale indipendente russo Novaja Gazeta – che dal 2000 ha conosciuto cinque vittime tra giornalisti e collaboratori – è uscita in due lingue, russo e ucraino. In un video condiviso sui social network, il direttore Dmitrij Muratov, premio Nobel per la pace, ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina, esprimendo il senso di vergogna e il dolore provato da tutta la redazione: «Solo un movimento russo contro la guerra può salvare la vita su questo pianeta», ha detto Muratov. Per analizzare quanto sta accadendo in queste ore ci siamo rivolti al professor Gastone Breccia, storico dell’Università di Pavia e tra i maggiori esperti, in Italia, di teoria militare.

Professore, lei ha ammesso di non aspettarsi un precipitare della situazione come quello a cui stiamo assistendo, ma come se lo spiega? Cosa ha portato a questa guerra?

«Non mi aspettavo che Putin attaccasse l’Ucraina: ho sbagliato, ma ritengo che la mia valutazione fosse basata su una corretta analisi dei costi e dei benefici. Putin aveva già ottenuto il pieno controllo del Donbass e poteva trattare con l’Occidente la neutralizzazione dell’Ucraina da una posizione di forza. Quindi dobbiamo chiederci: perché ha rischiato? Quali erano i suoi veri obiettivi, che dobbiamo presumere a questo punto più ampi di quelli che ho ora citato? Putin, evidentemente, vuole che venga di nuovo riconosciuta la sfera d’influenza della Russia degli zar. Non dico a caso “degli zar” piuttosto che dell’Urss: il suo è anche un disegno politicoidentitario nazionalista che fa riferimento ad aspetti religiosi e culturali precedenti la rivoluzione d’ottobre. Infine, tra le cause della crisi ne elencherei almeno altre due: la percezione, da parte di Putin, della debolezza dell’Occidente – che può averlo indotto a sfruttare un’occasione forse irripetibile per riportare l’Ucraina sotto controllo di Mosca – e la solitudine dell’autocrate, che finisce per credere alla “sua” versione della storia e della realtà…».

Come possiamo contestualizzare questa crisi nello scacchiere geopolitico degli ultimi anni, almeno da dopo il 2014?

«La rivolta di Maidan, che mise fine alla presidenza filo-russa di Yanukovich, è il punto di partenza di quello che osserviamo oggi. In quel momento Putin ha percepito (non senza qualche ragione) di essere sotto attacco: un presidente eletto veniva abbattuto da un movimento finanziato dagli Usa, con la partecipazione di frange di ultranazionalisti realmente pericolose. La reazione immediata èstata il colpo di mano in Crimea e l’appoggio ai separatisti del Donbass; ma in prospettiva, per ripristinare l’equilibrio geostrategico precedente la rivolta di Maidan, l’obiettivo di Putin da allora è stato quello di tornare a insediare un governo amico a Kiev. E dal 2015 – con il successo dell’intervento in Siria, seguito poi da un consolidamento delle posizioni russe in altre regioni, dalla Libia al Sahel, attraverso l’impiego di contractors – Putin si è sentito incoraggiato ad osare, vista l’incapacità della Nato di opporsi alle sue azioni. Anche se, ripeto, osare così tanto potrebbe rivelarsi un tragico errore di calcolo che non pensavo avrebbe mai commesso».

Dal punto di vista strettamente militare qualcuno ha parlato di un tentativo di “guerra lampo”, le sembra uno scenario realistico? O non si trasformerà invece in un conflitto classico o peggio in guerriglia?

«Putin sperava di vincere in due giorni: perché contava sul fatto che Zelensky fuggisse da Kiev (o venisse catturato o ucciso dai suoi reparti speciali mentre tentava di farlo) e che a quel punto la resistenza delle forze regolari ucraine si sgretolasse rapidamente. Non è successo: l’esercito di Kiev sta tenendo il campo abbastanza a lungo da permettere al governo (e alla Nato) di organizzare la resistenza popolare. Parlavo ieri con un ragazzo di Lviv che mi confermava che tutti gli ucraini tra i 18 e i 60 anni sono pronti a combattere: anche fossero soltanto metà della metà, una guerriglia che possa contare su numeri del genere, e soprattutto su un forte appoggio esterno attraverso una frontiera estesa e sicura, è quasi impossibile da sconfiggere senza adottare misure estreme. Ma non siamo più nell’epoca di Genghis Khan».

Cosa faranno gli stati vicini, e la Cina?

«La Bielorussia si è legata al carro di Putin, non può fare altro che seguirne le sorti. La Polonia guiderà la resistenza, se si arriverà a una guerra prolungata. La Cina, da lontano, per adesso resta a guardare. Potrebbe avvantaggiarsi più di tutti, ma ha anche qualche motivo di apprensione: l’azzardo di Putin sta rendendo di nuovo la Nato (che nel 2019 il presidente Macron aveva dichiarato “in stato di morte cerebrale”) un’alleanza credibile».

Come giudica la posizione degli Usa, dell’Ue e dell’occidente in generale? C’è davvero il rischio di un conflitto mondiale e con l’uso di armi non convenzionali? Come stanno insieme allargamento della Nato, sovranità nazionali, annessioni unilaterali?

«Gli Usa e l’Occidente avrebbero dovuto essere più credibili un mese fa, nella loro determinazione a sostenere l’Ucraina, in modo da scoraggiare Putin finché erano in tempo. Adesso, un po’ come accadde in Afghanistan dopo l’intervento sovietico, potrebbero essere tentati dal fomentare una lunga guerra civile. Sarebbe un errore, oltre che una tragedia per la popolazione, perché in quel caso significherebbe creare altri mostri – gruppi terroristici ucraini pronti a compiere attentati contro i russi in tutto il mondo, ad esempio. Dovrebbero invece essere compatti nella condanna, nell’applicazione delle sanzioni economiche contro la Russia, nell’appoggio immediato (anche militare) al paese oggi vittima di un’aggressione, ma anche essere pronti a tornare subito al negoziato per ripristinare pace e sicurezza accettabili anche per Mosca. L’ulteriore allargamento della Nato può essere in questo momento subordinato alla pace mondiale: quindi, ovviamente, in cambio di un immediato ritiro delle forze russe all’interno dei loro confini. Un atteggiamento come questo, duro ma aperto alla trattativa, credo possa anche scongiurare il rischio di un’escalation. I prossimi giorni saranno decisivi: il vero pericolo è che Putin, di fronte allo spettro di un mancato successo sul campo che per lui equivarrebbe oggi a una sconfitta, possa scegliere un inasprimento del conflitto. Speriamo non succeda».

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