7 Settembre 2023
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Suor Caterina Cangià, Figlia di Maria ausiliatrice, sarà la relatrice del corso promosso dagli uffici diocesani Caritas e per la catechesi, previsto nel centro di spiritualità Antonia Mesina di Galanoli l’8 e il 9 settembre. Nei primi anni di vita consacrata ha fatto l’esperienza della missione ad gentes, forte della conoscenza di molte lingue straniere; quindi si è specializzata – in virtù di una forte passione personale – sul campo della comunicazione, specialmente digitale. È stata docente presso la Lumsa e l’Ups e tutt’ora è promotrice di progetti internazionali: nel 1996 è stata la vincitrice dell’evento Milia a Cannes con la costruzione di un lavoro multimediale per l’evangelizzazione dei fanciulli basato sui primissimi strumenti informatici di allora; è l’autrice di altre novità come software destinati ai più piccoli per conoscere, ad esempio, la preghiera e l’anno liturgico.
A lei la parola per preparaci meglio alla due giorni in programma e comprenderne gli obiettivi.
Suor Caterina, sembra più facile accostare i termini «evangelizzazione» e «rete»… un po’ meno associare il vocabolo «carità» al mondo digitale: questa non dovrebbe essere qualcosa di concreto oltre una tastiera?
«Non la parola, ma l’essenza della carità ha molte sfaccettature. Chiaramente la prima concezione rimanda alle opere di misericordia, però ci sono altre forme importantissime e necessarie: la compagnia, l’ascolto, la condivisione… sono espressioni di un evangelico farsi prossimi. La rete permette di mantenere i contatti con chi è lontano e a volte solo un post o un messaggio privato con una immagine scelta e una citazione adatta posso portare tanto conforto».
Crede che il mondo di oggi apprezzi questi pensieri, o tuffarsi nel web è un tentativo per fuggire dai forti interrogativi davanti ai misteri dell’esistenza umana?
«Noto che c’è una grande sete di spiritualità, anche tra i non credenti. È facile ritrovare nei display una frase o una foto che porti a fermarsi e riflettere. Ma come cristiani dovremmo proporre qualcosa di più autentico e di cattolico, non riciclato qua e là. Se la priorità resta quella della maturazione spirituale, della crescita nella fede, allora la mia testimonianza è vera e non si limita a smanettare e scopiazzare come sanno fare tutti».
Quindi possiamo dire che il virtuale è reale, non è una finzione o una maschera?
«Ricordo che mi fecero la stessa domanda anni fa in un convegno dedicato al tema e guidato dal cardinal Martini e da me. Non ho cambiato idea e tutt’oggi affermo che il virtuale è reale; meglio, la rete è una modalità del vero. Se c’è un legame personale, un progetto tra me e un amico, i giga sono lo spazio per rinforzare la vicinanza. Non c’è apparenza o facciata se il punto di partenza è avere a cuore quella persona particolare che conosco e a cui voglio bene».
Anche al contrario, dunque? Gli utenti – in negativo – si trasformano dentro le piattaforme o si rivelano?
«Non mancano manifestazioni narcisistiche, da palcoscenico. La rete è ingannevole nel voler assicurare popolarità. Un credente, che vuole annunciare il regno, sa di non voler prendere il posto di Gesù; vuole solo imitarlo, anche in quella mitezza e umiltà che non si improvvisano online ma si imparano costruendo un’intimità personale. E per fare questo bisogna un attimo ritagliare il tempo giusto alla rete come mezzo, non come unico fine in cui perdersi».
Infine, pensa che sia sufficiente una attenzione rinnovata, una più sana e genuina consapevolezza per considerare tali strumenti belli e straordinari? Non manca una normativa che regoli meglio l’utilizzo e preservi dai pericoli?
«Il bisogno di legislazione chiara e onesta è fondamentale e necessita una costante rivalutazione per via delle infinite novità quotidiane. Ma non saranno pagine di leggi e norme a farci vivere la carità e l’evangelizzazione sui media. Bisogna ripartire dall’essenza della fede personale, creare una cultura digitale, informarsi e leggere tanto per essere all’altezza delle risorse e delle possibilità odierne in relazione alla buona novella. Quanti parroci o educatori sanno cosa è l’Intelligenza artificiale? Quanti incontri si dedicano al tema, sapendo che i nostri ragazzi passano ore e ore con il telefono già dai 7/8 anni? E non parlo di una formazione tecnica, nozionistica, per capire un app… ma dell’essere testimoni in questo mondo, fatto così, dove il Signore ci chiama e ci coinvolge».