Come è difficile parlare senza incorrere nella fatwa
di Francesco Mariani

6 Dicembre 2021

3' di lettura

Non se ne può più. Se dici “assessorina” ad una componente della giunta comunale di Nuoro diventi sessista, criminale, odioso maschilista. Poco importa se il giudizio è rivolto all’operare amministrativo e non al corpo fisico dell’interessata. Una chiosa infelice per una simpatica giovane, ma non un insulto.  Ad un assessore di sesso maschile si può dire (cito epiteti degli ultimi dieci anni coniati pubblicamente a Nuoro), “stronzo”, “merda”, “puttaniere”, “mezza tacca”, “surbile”, “messu tassa”, “non gay e non goi” ecc senza incorrere nel santo tribunale del politicamente corretto, nonostante si tratti di insulti palesi. Ormai si declina tutto sessualmente, anche la critica politica ironica, satirica, magari deprecabile ma non inquadrabile in altri contesti. Sono gli effetti collaterali del pensiero unico globalizzato. Negli ultimi due anni, ad ogni ora del giorno e della notte, siamo stati bombardati da notizie più o meno vere riguardanti il Covid e da tematiche legate ad aspetti gender e similari. Vanno bene i diritti civili ma non va bene il tormentone che ottenebra un normale sentire. Se vedi un film è pressoché inevitabile la solita storia a sfondo lesbico, l’ammiccamento ai migranti, meglio se neri, il tutto condito con spezie vegane e comunque bio. La tiritera non cambia se vai al teatro. Peggio ancora se ascolti un Cd o messaggi con una/o influencer che lanciano il solito messaggio sui diritti gay e affini convinti di avere l’esclusiva su tutto come si trattasse delle loro mutande o borsette. Vai a comprare un libro e trovi una fiera di autori che dicono tutti la stessa cosa: basta con le identità, tradizioni, radici, civiltà, famiglie, viva il diverso, salviamo il pianeta in pericolo, attenti ai fascisti. Appiattiti sull’uguale sono anche i discorsi istituzionali civili e religiosi: costruire ponti e non muri, accogliere, integrare, andare incontro. Fino ad arrivare al punto di leggere un documento della Chiesa Cattolica dove Dio non viene citato neanche di striscio, o ad ascoltare prediche dove Cristo è un illustre intruso. Della Tv, di Stato o privata, è meglio non parlare: Pavolini ed il MinCulPop gli fanno un baffo. Tutti a fare gli anticonformisti e tutti ad adorare il Non-Pensiero Unico e Conforme, sbavando con l’occhio rivolto a compensi e rimborsi. Forse aveva ragione P.P. Pasolini quando provocatoriamente proponeva di sospendere per due anni le trasmissioni televisive. L’acuto linguista Antonio Mele, giustamente, ci invita ad uscire dal “campanilismo nuragico” ma l’alternativa non può essere la banalità seriale, il pensiero confezionato in laboratorio e spacciato come originale. Oggi diventa atto di coraggio non il ripetere il mantra del politicamente corretto ma l’affermare cose dove la ragione e la realtà si incontrano. Altrimenti, come diagnostica il Censis, si va nel regno dell’irrazionale. © riproduzione riservata

Condividi
Titolo del podcast in esecuzione
-:--
-:--