C’è bisogno di più Europa. Ma quale Europa?
di Giuseppe Pinna
13 Aprile 2022

La crisi in Ucraina rende attualissima una domanda che ognuno di noi si può porre: di quale Europa abbiamo bisogno?

L’Europa che oggi conosciamo nasce sulle ceneri di due conflitti mondiali e nel periodo a cavallo della guerra fredda dove la zona di frizione era proprio il Vecchio Continente. Nel 1951 con il Trattato di Parigi viene istituita la Ceca; nel 1957 con i Trattati di Roma la Cee e l’Euratom; nel 1992 il Trattato di Maastricht; nel 2007 il Trattato di Lisbona.

Se con il Trattato di Roma l’obiettivo era quello di far collaborare i sei paesi firmatari, fino a poco tempo prima belligeranti, i successivi trattati hanno sancito nuovi ambiti di collaborazione e sono stati introdotti per migliorare il funzionamento delle istituzioni dell’Ue, poiché il numero di Stati membri è cresciuto nel tempo da 6 a 27 (dobbiamo escludere il Regno Unito a seguito della Brexit). Nella stesura e nell’evoluzione di questi Trattati si è cercato di plasmare un modello ma, per diverse cause, oggi, la sensazione è che l’Europa sia un qualcosa di incompiuto. L’allargamento a Est dopo la caduta del muro di Berlino, l’avvento della globalizzazione, la nascita dell’euro, poi la crisi pandemica e ora la guerra in Ucraina hanno richiesto l’assunzione di decisioni politiche ma anche il dover subire effetti di crisi che potenzialmente potevano minare, come oggi, l’Unione stessa. All’Europa delle nazioni vediamo contrapporsi l’Europa dei tecnocrati che, in assenza di un consenso popolare, attuano decisioni in continua sottrazione di sovranità senza un argine di protezione per gli stati più fragili. Non siamo ancora né una federazione (come gli Stati Uniti d’America) né una confederazione (come la Svizzera) ma ci unisce solo l’euro. Non possiamo pensare di avere un continente, un’economia, una moneta e ventisette politiche diverse. Con i Trattati sono state prese delle decisioni che impattano, proprio per le caratteristiche intrinseche degli accordi, nelle politiche e nelle economie dei singoli Stati.

La più importante è forse l’aver scelto di cedere la sovranità monetaria senza avere una Banca Centrale come quella di uno Stato che, quando necessario, assolve alla funzione di prestatore senza limiti di ultima istanza. Come successo negli ultimi anni, ma anche con la pandemia e la crisi ucraina, abbiamo assistito ad un accantonamento degli altri vincoli previsti dai Trattati ma non sappiamo se questo sia un cambio di paradigma oppure misure momentanee. Ad esempio il vincolo che impedisce di aiutare lo Stato che si trovi in difficoltà o quello che impedisce all’Ue di assumere la responsabilità degli impegni dei singoli Stati o quello per cui la Bce non possa comprare i titoli pubblici dei singoli Stati.

Prima la pandemia e ora la crisi in Ucraina hanno portato alla luce tutte le fragilità di questa Europa dove la regola è che gli Stati più forti impongano le regole agli Stati più deboli.

L’euforia delle dotazioni del Pnrr è stata vanificata, in questi primi mesi del 2022, dalla debolezza di un piano energetico comune: siamo vulnerabili per il solito problema europeo cioè che uno deve provvedere a sé stesso.

È dibattito di questi giorni anche l’altro argomento scottante, ovvero l’impegno all’aumento della spesa in campo militare, ma anche qui non c’è una visione comune sulla difesa europea. Quale Europa allora? Intanto dobbiamo distinguere tra Unione Europea ed Eurozona: la prima è composta da tutti gli Stati che hanno aderito all’Unione mentre la seconda è composta da quelli che utilizzano l’euro come moneta. Forse questa è una fase che si chiude ed una nuova se ne apre. Non è rinviabile una rivisitazione dei Trattati i quali paradossalmente hanno una visione tutta positiva dell’Europa.

Leggendoli, ad esempio, non si trova la parola crisi se non riferita a calamità naturali o ai conti di un singolo Stato. I matrimoni si fanno nella buona e nella cattiva sorte, i trattati sono come dei matrimoni ma quelli europei sono solo per la buona sorte: il bene è la regola ed il male l’eccezione. L’Unione Europea, non avendo una costituzione, non essendo uno Stato di diritto ma un insieme di Stati gestiti da trattati internazionali, quando si tratta di emanare delle riforme, soprattutto in periodi di crisi, palesa le enormi differenze e frizioni tra i singoli. Altro limite è quello di non avere una politica del debito comune e quindi i così detti EuroBonds: questo espone gli Stati con le economie più fragili agli attacchi speculativi dei mercati finanziari.

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