4 Settembre 2024
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Nuoro - La Fondazione voluta dalla Regione sarà un’altra cosa, non dubitate!
Se ne va il Consorzio Bibliotecario Nuorese, senza alcuna solennità, senza quella emozione, senza quella partecipazione che accompagna l’ultimo atto di una esistenza amata o almeno rispettata.
Nessun salmo penitenziale, dunque, per una istituzione che, pur nella sua incorporeità, un’anima ce l’ha avuta in una città dall’animo controverso quale Nuoro è ed è stata, da sempre.
Se ne va per una delle tante “strade perdute” dell’ambizione nuorese di essere capoluogo di un territorio dai forti caratteri identitari, del sogno di Capitale Sarda della Cultura, o quello di divenire micrometrica metropoli di una contemporaneità che continua ad essere poco più di un barlume, un effimero indizio affidato ai nostri talenti: che qui nascono e fuggono, troppo rapidamente o semplicemente rinunciano o rifluiscono nel privato.
Se ne va il Consorzio, liquidato attraverso un repertorio di atti (… e misfatti) burocratici che hanno veramente poco della resa degli onori, che pure avrebbe meritato la più antica istituzione culturale della città.
Tale era dal tempo in cui Nuoro divenne “capoluogo” di quella sorta di “territori d’oltremare” che erano allora, agli inizi degli anni ’30, le favolose e fosche Barbagie, le Baronie, le Ogliastre, i Sarcidani. Lo Stato decise allora di accorciare le distanze – per così dire – creando a Nuoro un proprio presidio burocratico: Nuoro “Capoluogo” di una Provincia tutta da inventare: poche strade, pochi servizi, pochi collegamenti, molti dislivelli socio/culturali da colmare.
E appunto per attenuare questi divari, con la creazione della Provincia, su iniziativa anche del Comune di Nuoro, venne istituita nel ’33 la “Biblioteca Sebastiano Satta”. Questa venne poi trasformata in consorzio sulla base di una legge del ’43, che prevedeva l’istituzione di biblioteche pubbliche in tutti i capoluoghi di provincia, col chiaro intento di divulgare un’idea di “cultura nazionale”, e affermare il dominio della “lingua nazionale”, che soppiantasse le parlate locali e regionali (e nel nostro caso la lingua sarda) e integrasse e omologasse le riottose provincie del Sud al mai del tutto compiuto (fino ad allora) disegno unitario.
Comunque sia, quella prima Biblioteca Comunale costituì l’embrione, decoroso e povero, di quello che mezzo secolo dopo divenne: il “Consorzio per la Pubblica Lettura “S. Satta”.
Questo nonostante che, col cambio del nome, fosse avvenuta una piccola grade “rivoluzione” non nominalistica. Tanto che in Sardegna si guardò con curiosità e interesse (anche oltre l’isola), a questo esperimento autoprodotto: un ente che andava oltre i suoi tradizionali compiti consultazione e prestito librario), per assurgere a soggetto “militante” di promozione della cultura e di sostegno -di alfabetizzazione, si potrebbe dire- alla diffusione del “sapere” nei suoi diversi campi e nelle sue distinte forme: scienza, arte, letteratura, concerti, mostre, conferenze, pubblicazioni, lettura & scrittura, stampa, ascolto.
A volerci pensare un po’, quell’ esperimento, divenuto poi solida istituzione, coglieva e dava continuità ai “segnali” di rottura e innovazione che, per la città di Nuoro in particolare, ma per tutta la Sardegna più interna, avevano assunto e rappresentato una apparentemente piccola realtà che si era prodotta nel poco sperimentato campo dell’Arte con la “Galleria Chironi 88” di Sandrina Sanna; e nel campo, assolutamente inedito (per il nuorese), dell’Arte Pubblica: la Piazza Sebastiano Satta, nel cuore degli antichi “borghi delle origini” fra Santu Predu e Seuna, ad opera di Costantino Nivola, artista legato ai grandi movimenti di trasformazione dell’Arte a livello mondiale. In entrambi i casi si gettava un ponte fra la Sardegna arcaica della cultura agro-pastorale e la modernità.
Già alla fine dell’800 e primi del ‘900 si erano manifestate, a rappresentare le stesse istanze, numerose individualità artistico-letterarie di prima grandezza: Deledda, Ballero, Satta, Gallisai, e successivamente Fancello, Pintori, e lo stesso Nivola dell’Accademia di Monza e della “scuderia” artistico-industriale di Adriano Olivetti, poi ancora Cambosu, Maria Lai, Maria Giacobbe.
Ma forse mai le personalità che pure valsero a Nuoro la fama di “Atene sarda”, assursero ad “alfieri ” di un preciso progetto di svolta socio/culturale, come lo sono state poi. – in successione, fra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’80 del Novecento – una galleria d’Arte, una piazza pubblica e una istituzione bibliotecaria.
Sono state le implicite risposte che Nuoro si è data e ha dato al mondo, voltando pagina: alla stagione dei sequestri della “Sardegna del malessere”, alla transizione verso il contemporaneo, alle trasformazioni socio/culturali successive ai movimenti popolari, giovanili e intellettuali di quello stesso ventennio. Oggi, per ragioni e con modalità diverse, constatiamo la fine di questo ciclo, simboleggiato dalla fine di quelle istituzioni e la straripante prevalenza del folklore nella vita culturale di Nuoro e del Nuorese.
Il Consorzio bibliotecario Satta, porta d’accesso per un intero territorio e per diverse generazioni alla cooperazione e allo scambio culturale, oggi cede il passo a una “Fondazione” regionale, a cui saranno “ammessi” in posizione ancillare, il Comune e la Provincia di Nuoro. Il vecchio spirito di cooperazione culturale, che era un po’ l’anima e l’ambizione del vecchio consorzio fra Enti del territorio, per legge, va in soffitta; anzi, al macero.
Prevale il disegno accentratore di una Regione nata per essere il “legislatore” figlio dell’Autonomia che esalta e incoraggia le autonomie locali, approdata invece alle forti tentazioni di gestione diretta (e clientelare) di oggi: migliaia e migliaia di dipendenti in ogni capo… e ora gestore anche di biblioteche, enti di promozione universitaria, e chissà cos’altro in futuro.
Quella leva portentosa che è stata, per alcuni decenni e molte generazioni, il sistema bibliotecario territoriale di Nuoro e del nuorese, quel laboratorio aperto di sviluppo della cultura (e di una propria cultura) e della sua fruizione in svariate forme, oggi cede il passo a un soggetto -forse più solido e garantito economicamente- ma privo di un reale nesso con la società locale e le istituzioni del territorio, che sicuramente vengono private, d’autorità, di una propria capacità di decisione, di scelta e di autonoma elaborazione culturale.