2 Aprile 2021
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La pandemia, gli infiniti conflitti, la Siria martoriata, la presenza cristiana nella regione. In vista della tradizionale colletta per la Terra Santa abbiamo raggiunto telefonicamente Daniele Rocchi, giornalista dell’Agenzia Sir ed esperto di Medio Oriente.
Quali sono state le conseguenze della pandemia nella regione?
«Escludendo Israele, dove 5.200.000 cittadini hanno ricevuto la prima dose di vaccino e 4.300.00 sono stati già richiamati per la seconda (nonostante 6000 morti su 27400 casi di Covid), è ovvio che la pandemia ha avuto e sta avendo degli effetti importanti, andando ad aggravare una situazione già critica per l’instabilità economica e politica. Nelle terre martoriate dalla guerra, possiamo affermare che la sanità è pressoché inesistente, gli ospedali sono già saturi. In Cisgiordania, a febbraio, si contavano 200.000 casi di Covid, le terapie intensive erano oltre il 100% e le vittime hanno superato quota 2100; sono dati da accogliere per difetto dato visto che con il passare delle settimane aumentano i decessi. A fronte di tutto ciò, già sono arrivate 39000 dosi di vaccino da parte degli Emirati Arabi Uniti, di Israele e della Russia, però resta una risposta assolutamente insufficiente e non ci sono strutture tali per poter impiantare ospedali da campo o centri di vaccinazione. In Iraq e in Siria i contagi corrono ed è difficile descrivere il problema perché mancano i dati ufficiali. In Libano ci sono 420.000 contagi e i morti sono poco più di 5400; a metà febbraio è iniziata la campagna di vaccinazione ma le dosi disponibili sono solo 28000. Poi ci sono state tante polemiche: in Palestina (ma anche in Israele) si è scesi in piazza a protestare contro il governo reo di aver accantonato i vaccini per i familiari dell’establishment. In Libano come in Giordania ci sono milioni di rifugiati e di questi sono stati vaccinati poco più di 500 su 14.000 registrazioni. La comunità internazionale non si è particolarmente adoperata, l’azione del Covax è assolutamente insufficiente. E non parliamo delle conseguenze economiche della pandemia».
Sono trascorsi dieci anni di guerra in Siria.
«In Siria parliamo di una guerra per procura. Non vorrei sembrare irrispettoso, ma questa è un tappeto di biliardo dove giocano diversi contendenti e combattono gli eserciti più potenti del mondo. Si intravede anche la continuità di azione da parte dell’America: il primo intervento del nuovo presidente è stato il bombardamento degli iraniani in territorio siriano, dopo la guerra di tipo economico condotta da Trump per mettere in ginocchio queste popolazioni con le sanzioni finanziarie. Ci sono ancora i militari che controllano i giacimenti petroliferi e non è stato avviato un ritiro delle truppe».
Nella Lettera della Congregazione per la Terra Santa, il Prefetto afferma che le comunità cristiane rappresentano la luce, il sale e il lievito del Vangelo. Come spieghi questa definizione?
«Gli spazi cristiani sono luoghi di solidarietà dove si respira una prospettiva di futuro, con l’obiettivo principale di amare e non fare proselitismo. Ho avuto esperienze dirette anche nei contesti bellici. Sono stato in Egitto subito dopo gli attachi alle chiese copte e lì ho visto che i cristiani, per quanto provati dalla furia del terrorismo e delle persecuzioni, erano sempre disposti a perdonare e a tendere la mano ai sofferenti. In Iraq, quando la Piana di Ninive era ancora vuota, ho incontrato una delle primissime famiglie cristiane tornate a Qaraqosh là dove l’Isis ha fatto tabula rasa. Nei campi profughi dei siriani in Libano ho trovato i cristiani pronti a prendersi cura degli anziani e dei disabili. Ad Aleppo o a Damasco, dove nella notte i missili cadevano nella periferia, ogni giorno si radunavano decine di famiglie nelle parrocchie rette dai francescani e i bambini frequentavano la scuola di musica con tanta voglia di imparare e andare avanti. Vi partecipavano anche i musulmani e con lo stupore delle mamme chiedevano “Perché voi cristiani fate tutto questo per noi?”. Nella Striscia di Gaza la comunità cattolica non arriva a 120 fedeli e con gli ortodossi i cristiani sono circa un migliaio in mezzo a 2.000.000 di abitanti: durante la Messa, anche i piccoli si mettono in fila durante la Comunione con gli altri per ricevere una benedizione, quasi fosse un senso di appartenenza e identità in nome della sofferenza in un calvario da 365 giorni all’anno. Ci sono zone della Siria dove i frati non possono indossare il saio e anche all’esterno le chiese non hanno simboli religiosi, ma i cristiani portano al collo e tengono stretto il crocifisso come l’unica cosa che hanno, mentre in Italia si pensa a toglierlo dalle pareti delle aule scolastiche. È la Chiesa che conquista la sua credibilità attraverso l’amore».