La sala della Satta all'incontro del 28 ottobre (ph Gigi Olla)
“Cultura, carità e missione” nel ricordo di don Gius
Alla Biblioteca Satta l'incontro promosso dalla fraternità di Comunione e Liberazione a cento anni dalla nascita di don Giussani
di Lucia Becchere

31 Ottobre 2022

10' di lettura

Nuoro - Nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita di don Luigi Giussani, il 28 ottobre scorso, presso la biblioteca Sebastiano Satta, la fraternità nuorese di Comunione e liberazione ha promosso un incontro sul tema “Una passione per l’uomo. Cultura, carità e missione”, le tre dimensioni del teorema cristiano.
La figura e la voce di Don Giussani sono arrivate ai presenti attraverso il video proiettato in sala … “Credo in quello che dico …- queste le sue parole –  il Cristianesimo mi ha aiutato a capire che non siamo qua a caso, siamo qui per la ricerca del proprio io … Per Gesù Cristo la fede non era un’idea, la fede bisogna viverla, sentire la presenza attuale dell’Onnipotente nella nostra vita e questo messaggio vale per cristiani, ebrei e mussulmani…”.

«Abbiamo organizzato questo incontro – ha detto Marcello Seddone nel dare il via ai lavori – per ricordare don Giussani e i segni lasciati dalla sua missione nella vita di migliaia di persone. La scelta di confrontarci sul tema “missione” è stata dettata non solo dalla coincidenza col mese missionario, ma anche per far conoscere com’è nata l’esperienza di CL in Sardegna e per ricordarci, come ci ha insegnato il fondatore, che non c’è distinzione nella presenza quotidiana dell’annuncio cristiano nelle scuole, nei luoghi di lavoro, in terre difficili e la stessa universale missione della chiesa».

«Da don Gius abbiamo capito che la missione non è un’aggiunta alla fede – ha spiegato don Francesco Mariani direttore de L’Ortobene e coordinatore della serata -, ma la naturale espressione di un’affezione e di una gratitudine per ciò che il Signore ci ha fatto incontrare e ci dona. E da questo amore, da questa affezione nasce la missione».

È stata Giuliana Contini, figlia spirituale di don Gussani, a portare la prima testimonianza. Ha ricordato quando negli anni della contestazione giovanile del ‘68, lei insegnante di lettere a Milano si è trovata a vivere a fianco dei suoi studenti con la passione che aveva conosciuto nel movimento ma questo vivere si svolgeva dentro un contesto così ideologico e violento che la portava a fronteggiare tutti i giorni discussioni con i colleghi. Contestava lo sciopero perché lo riteneva uno strumento senza senso. In quel clima duro e difficile, ha confessato di essere entrata in confusione e di aver partecipato alle manifestazioni di generale contestazione. Per questo motivo aveva chiesto a don Gius di accogliere la sua disponibilità in merito alla richiesta pervenutagli del parroco della Medaglia miracolosa di Cagliari, che chiedeva un aiuto per la parrocchia del suo quartiere molto problematico. «Ero confusa – ha aggiunto la Contini-   e ho pensato di andarci con grande slancio di generosità pur non conoscendo affatto la Sardegna. Mi motivava il fatto che il Signore compiendo un gesto di generosità, mi potesse premiare facendomi ritrovare l’entusiasmo e la chiarezza di prima perché non volevo vivere in quello smarrimento in cui mi ero cacciata». Una domanda a Dio che implicava il riconoscimento di una vera esperienza cristiana che non voleva perdere.

La professoressa, diventata responsabile di CL in Sardegna, ha raccontato di aver lavorato tanto nel quartiere e nelle aule scolastiche. Esperienza decisiva la sua tanto da ritrovare la certezza che l’unica risposta al bisogno dell’uomo è quella che si incontra nella fede, che non c’è risposta vera all’uomo se non quella che Cristo ci ha donato.
Dopo aver operato per 25 anni in Sardegna, Giuliana Contini è andata in Cile e in Perù. «Quale la motivazione e i ricordi?» le ha chiesto don Mariani.
«Il problema è uno solo – ha risposto – non conta dove si è, ma che cosa c’è dentro e fuori, nello sguardo e nel giudizio. Lontano o vicino, il problema è proprio nel guardare in faccia quello che si incontra e riflettere su cosa e come si potrebbe fare».
Dopo il primo anno di lavoro in Sardegna, la professoressa sarebbe dovuta rientrare Milano in quanto le scadeva il termine dell’assegnazione provvisoria della sede, ma lei, non voleva andare via e ha lottato con tutte le sue forze per restare, sentiva dentro di sé che ne valeva la pena e così trascorse nell’isola ben 25 anni. «Un segno della provvidenza anche questo».

Poi Don Giussani l’ha mandata in missione in Cile. «È stata una esperienza professionalmente faticosa, ma gratificante, – ha ammesso -, ero armata solo di passione, senza consapevolezza di quello che mi aspettava. Ho costruito sui miei errori, sostenuta dalla certezza che quei ragazzi potessero incontrare, tramite la mia presenza, quello che io avevo incontrato, e così è stato. Con gli studenti abbiamo fatto grandi cose. In uno dei campus dell’università abbiamo aperto una boutique con delle cose fatte arrivare dall’Italia, compresi abiti firmati. È stata un incontro di condivisione totale. Ho perfezionato la conoscenza della lingua, ma proprio quando cominciavo ad assestarmi in quel contesto, mi è stata chiesta la disponibilità per ricoprire la carica di preside di facoltà a Lima. Accettai, pur sapendo che si trattava di lasciare un paese civile per uno dove regnava il caos. Il ruolo di burocrate mi era ostile per cui continuai anche con l’insegnamento».
La Contini la ricorda come una esperienza dura e faticosa, tuttavia si è dichiarata felice di averla potuta fare. Forte dell’insegnamento di Don Giussani era consapevole che qualsiasi situazione poteva essere affrontata perché il problema non è mai la circostanza ma quello che cerca e guarda il nostro cuore, la nostra intelligenza e perseverare fino ad avere ragione. Così è rimasta ad operare fino a 79 anni.

A seguire la testimonianza di Giampaolo Puncioni. «A Nuoro faceva parte di quel gruppo di studenti – ricorda don Mariani – che per la prima volta in Italia ebbero la maggioranza dentro il distretto scolastico provinciale e nominarono presidente un 18enne. Erano gli stessi che rinunciando alle vacanze, impartivano lezioni agli altri studenti che avevano delle carenze. CL è nata a Nuoro in questo clima fattivo e di condivisione».
«Cosa vuol dire essere missionario in paesi così diversi, Pisa, Romania e Parigi?» gli ha domandato don Mariani. «È stata una promessa iniziale – ha affermato Puncioni – che poi si è dilatata nello spazio in una dimensione che mai avrei potuto immaginare. Quanto è successo a Nuoro ha avuto un imprintig enorme legato alla dimensione dell’amicizia, eravamo ragazzi semplici ma pieni di domande e di approfondimenti fatti di crescita che mi hanno accompagnato negli anni. Ho scoperto che in fondo a questa domanda c’era sempre una risposta e tutto questo stupore è esploso nella libertà degli anni dell’università. Ricordo l’idea della missione a quei tempi, rammento i precorsi dove avveniva di tutto e di più e come alla fine di questi precorsi proponevamo di trascorrere una settimana di vacanze fra i ragazzi convenuti per capire meglio cosa ci fosse dietro questi momenti trascorsi insieme».
Giampaolo Puncioni ha fatto un excursus della sua vita, la famiglia e le altre occasioni di lavoro, quando gli si sono proposte altre sfide come quella di trasferirsi in Romania. A questa offerta ha risposto con una domanda chissà cosa c’è dietro questa proposta?. Lavorare in Romania è stata una esperienza di 3 anni e mezzo dove lui ha vissuto di tutto, una missione che non contemplava un fare ma un essere. La famiglia, il vicinato, la scuola, le figlie, il lavoro, si adoperava con lo stesso stupore che lo ha accompagnato fin da ragazzo. Era giusto allargare a tutti quella scuola frequentata dalle figlie presso l’ambasciata perché tutti potessero frequentarla e attivandosi affinché quella scuola diventasse un polo di riferimento culturale e sociale per la città di Bucarest. «La missione può esser espressa in tanti modi e si può arrivare all’altro in tante maniere  anche con la testimonianza», ha aggiunto.
«In un ambiente di lavoro come il tuo – ha chiesto ancora don Mariani -, cosa vuol dire essere missionario con i tuoi collaboratori?». «Credo che fra i vari ambiti – ha spiegato Giampietro Puncioni – quello del lavoro sia  il più sfidante dal punto di vista della testimonianza di fede, nel mondo del lavoro ci sono moltissime provocazioni e ancor più se si hanno posizioni di governance e di conduzione. Ho imparato molte cose dentro l’esperienza della chiesa e ho sempre tenuto a mente che non puoi fare bene nessun lavoro se non hai la passione per l’uomo, non fai bene il tuo lavoro se non sei interessato al tuo collaboratore, al tuo collega. Questo non è solo un fatto strategico, interessato ma è proprio sei interessato all’uomo come persona, si apre un mondo. L’altro aspetto che sento forte in me è l’amicizia, è talmente bella e profonda, vince sempre e tu non puoi che proporla nella stessa forma. La terza considerazione è che bisogna lasciare aperta la possibilità alla fede, o a qualcosa che viene dall’esterno, di poter contaminare il tuo perimetro, perché accadono delle cose che ci provocano e occorre spalantutto care la porta a questa idea. Anche se non sempre tutto va per il verso giusto non bisogna smarrire la strada della missione», ha concluso Puncioni

«Per don Giussani – ha chiosato don Mariani -, l’amicizia è l’esperienza materiale concreta dell’amore di Dio. Amicizia fra coloro che non per parentela, non per interesse, non per un tornaconto, ma perché da Dio sono stati generati, per una grazia che accade. Nella vita l’amico lo si cerca con fatica, lo si trova raramente, e più difficile ancora è conservarlo (Sant’Agostino). Don Giussani insiste nel dire che la grazia della fede genera un’amicizia e quella amicizia è la testimonianza di Cristo risorto. La missione – ha proseguito don Mariani -, è proprio, quest’annuncio, questa condivisione di qualcosa che non è mio, è una grazia che mi è stata data».
L’incontro viene suggellato dal messaggio di don Giussani: «Il mistero della misericordia resta l’ultima parola anche in tutte le brutte possibilità della storia. Il vero protagonista della storia è il mendicante, cioè Cristo medicante del cuore dell’uomo, del cuore dell’uomo mendicante di Cristo».
«Questa è la più alta definizione per dire chi siamo e quale sia il contenuto del nostro far bene», ha concluso don Mariani.

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