29 Maggio 2021
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Il ritiro, ad Orosei, il 20 ed il 21 maggio, dei sacerdoti delle diocesi di Nuoro e Ogliastra ha un sapore storico. Infatti, segna chiaramente l’inizio di un percorso che culminerà con la loro unificazione. Si è partiti con Antonello Mura vescovo di Nuoro ed amministratore apostolico dell’Ogliastra, si è passati ad un unico vescovo per due diocesi, ci si avvia verso un’unica diocesi ed un solo pastore. Dalla collaborazione all’unificazione. Gli assetti istituzionali e geografici della Chiesa non sono eterni. Come ogni realtà storica, variano nel passaredel tempo. A volte intercorrono secoli, talvolta solo decenni. In passato essere sede di Diocesi era una condizione necessaria per essere riconosciuti come una vera e propria città. Una Diocesi sopperiva anche a funzioni amministrative, oltre che religiose. Questo, insieme a tante altre motivazioni, spiega perché in Italia, fino al 2018 c’erano 226 diocesi. Decisamente troppe visto anche il sopraggiunto calo demografico e il miglioramento della viabilità. Papa Francesco insiste sulla loro rimodulazione e sulla loro dimensione missionaria. In Sardegna da dieci diocesi si arriverà ad averne sette dopo aver accorpato Ales-Terralba con Oristano; Nuoro con l’Ogliastra; Tempio con Ozieri. La geografia religiosa segue la direzione inversa di quella politica e civile che moltiplica Asl, province, città metropolitane, enti e consigli di amministrazione. Nella prima tappa del percorso è stato chiesto al vescovo Antonello Mura di favorire e intensificare la collaborazione interdiocesana di clero e fedeli: convegni, aggiornamenti e pastorale il più possibile unitari. Sulla falsariga di quanto avvenuto a livello parrocchiale, dove, a causa della carenza di preti, dell’invecchiamento del clero e della diminuzione della popolazione, si accorpano le parrocchie con sacerdoti che guidano due, tre, anche cinque comunità. Nel 2016 la Congregazione per i vescovi aveva chiesto alle Conferenze episcopali regionali di inviare proposte di riordino delle diocesi alla Segreteria generale della Cei, indicando quali unificazioni o soppressioni sarebbero state auspicabili. Il tutto tenendo presente il rispetto della storia ecclesiale, la sensibilità della gente e la sua cultura. Un percorso non facile, ammise lo stesso papa Francesco che aveva sollevato il tema nel primo incontro con i vescovi italiani, il 23 maggio 2013, due mesi dopo la sua elezione. L’ultima riorganizzazione delle diocesi risale al 1986 con il taglio di quasi cento unità con l’accorpamento fra loro di diverse piccole diocesi (la riprova è nei nomi di numerose Chiese particolari che nella loro dicitura racchiudono diverse ex sedi titolari). A dire il vero l’ipotesi di riforma era già stata avanzata alla fine degli anni Venti del secolo scorso ed era stata inserita nel Concordato del 1929. Si stabiliva che la riduzione delle diocesi era da attuarsi “via via che le diocesi medesime si renderanno vacanti”. Mussolini voleva che “i capoluoghi” delle diocesi corrispondessero a “quelli delle province”, in modo da far coincidere l’Italia civica con l’Italia “sacra” (e quindi facilitare il controllo delle prefetture). L’impegno restò lettera morta. Tuttavia il tema venne ripreso da Paolo VI nel 1964 quando all’Assemblea dei vescovi parlò di “eccessivo numero delle diocesi”. Una commissione, detta “dei Quaranta”, elaborò un progetto consegnato nel 1968 alla Congregazione per i vescovi. Ma solo con Giovanni Paolo II si procedette concretamente.
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