5 Luglio 2023
8' di lettura
Proponiamo una sintesi dell’intervento di don Luigi Ciotti
Non ho conosciuto direttamente don Lorenzo Milani ma ho avuto il privilegio di incontrare alcuni dei protagonisti di quel percorso. Gli uomini e le donne che hanno vissuto la prima esperienza a San Donato di Calenzano. Lì è nata l’intuizione di dare parole, cultura, conoscenze perché solo così sarebbero stati in grado di capire la Parola. Sarà quello che poi, arrivando a Barbiana, farà scattare in Lorenzo Milani la scuola che conosciamo.
Don Lorenzo, sacerdote
Di Lorenzo Milani non possiamo solo leggere l’impegno della scuola, la Lettera a una professoressa, le sue denunce. Non possiamo rimuovere la dimensione spirituale e pastorale per fare del priore di Barbiana solo un alfiere dei diritti delle persone, dei diritti di cittadinanza. Se rimuoviamo la dimensione spirituale, pastorale, significa non capire la verità della sua testimonianza. Lui è stato un pastore di anime e anche un grande maestro di cultura.
Soprattutto, non dimenticatolo mai, don Lorenzo Milani non ha fatto sintesi fra gli opposti, ma li ha abitati in modo radicale. Non è mai stato un uomo di mediazione. Aveva una sua radicalità che emerge nel suo temperamento, nella sua vita, nei gesti, una radicalità legata fortemente alla coerenza. È stato un sacerdozio radicale il suo, vissuto in modo quasi estremo.
Non possiamo poi dimenticare che i no che lui ha detto nel percorso della sua vita sono stati dei sì. La critica della scuola è una critica al modello di scuola di quel momento. Quel no è un sì ad un impegno migliore per il diritto più vero alla cultura, all’educazione che è generatrice di vita. Quando dirà no ai i cappellani militari è un sì per la pace. Quando dirà un no alla Chiesa come apparato che lui denunciava nelle Esperienze pastorali, è un sì pagato, sofferto, vissuto per una Chiesa dei poveri, degli ultimi.
Scuola e politica
Dopo l’esperienza fatta con persone più adulte a Calenzano costruisce una scuola a Barbiana e dice con chiarezza che “una scuola che seleziona distrugge la cultura”. E soprattutto dice che “la massa non possiede la parola e chi possiede la parola è estraneo alla massa”. E ancora “la nostra scuola è un dono”, “un po’ di vita nell’arido dei vostri libri scritti da gente che ha letto solo libri”. È un atto di denuncia forte: c’è gente che legge solo libri e non conosce la realtà, non ha mai ascoltato in profondità la voce di chi fa più fatica. E sono quelle le persone che poi giudicavano, attaccavano, umiliavano, mormoravano. Il suo sogno era che quella impostazione non terminasse lì, ma che quella testimonianza, quei vissuti, quel metodo, potessero moltiplicarsi.
Lui diceva che bisogna conoscere i ragazzi, i figli dei poveri, e amarli. L’amore per quei ragazzi e l’amore per la politica diventa un tutt’uno. Ma diceva anche “non si può amare creature segnate da leggi ingiuste. C’è bisogno che la politica faccia leggi migliori”. Schierarsi dalla parte dei ragazzi più deboli comporta che la scuola li ami. Per lui la parola amore è vita, è carne. Un amore che porta l’educatore a scommettere nelle possibilità ancora inespresse dei ragazzi meno capaci e più deboli. Questo emerge ancora quando diceva “se perde i ragazzi difficili la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.
I care, mi sta cuore, me n’importa: abbiamo bisogno tanto oggi nel nostro Paese di sentire questa responsabilità. Emerge da questa storia condivisa che la scuola assolve a una funzione nobilmente politica quando educa i ragazzi a diventare “cittadini sovrani”, in grado di comprendere e appassionarsi ai problemi della società per risolverli insieme agli altri.
La povertà e l’ultima lezione
Milani è stato un sacerdote che non solo stava dalla parte dei poveri ma che viveva come loro. Perché “la sola parola credibile è quella che proviene dalla cattedra ineccepibile della povertà”. C’è bisogno veramente di questo impegno oggi da parte di tutti, di metterci dei panni delle persone.
C’è infine il capitolo dell’ultimo mese di vita del priore. Don Lorenzo offrì il suo corpo malato come una lezione di vita. E ai suoi ragazzi disse che preferiva farsi assistere da loro perché imparassero cosa è la morte e come muore un uomo. Disse “si muore nello stesso modo in cui siamo vissuti” e chiese di essere sepolto vestito con i paramenti sacri ma anche con gli scarponi di montagna.
I due grandi segreti che che ha vissuto e ha comunicato, sono l’amore e anche il perdono. E allora anche per noi ricordare a cento anni dalla sua nascita don Lorenzo Milani vuol dire cogliere quello stile, quei gesti, quelle scelte e tradurli oggi. E noi siamo chiamati oggi a tirare fuori tutte le nostre energie per portare il nostro contributo al Paese che amiamo, che ha bisogno di tutti noi e soprattutto dei nostri ragazzi. E i nostri ragazzi han bisogno di adulti veri, coerenti e credibili. Hanno bisogno di essere ascoltati, accompagnati, intercettati, devono trovare in noi dei punti di riferimento che comunicano valori, contenuti. Ma dobbiamo offrire anche loro delle opportunità. E quando trovano questo esplodono.
Due auguri
Vi auguro di tutto cuore di morire. Perché c’è un morire ch’è necessario alla vita, al suo infinito rigenerarsi. Dobbiamo avere il coraggio di morire un pochino a noi stessi, di lasciarci alle spalle tanto nostro agire, parole d’ordine ormai abusate, incomprensioni, frammentazioni. Dobbiamo unire di più le nostre forze per diventare una forza. È il noi l’elemento vitale per la società, per la Chiesa, per la scuola, per tutti i nostri contesti, per far rinascere noi stessi e per far sì che anche altri possano rinascere.
Vi auguro anche tanta solitudine. Perché è nella solitudine che noi scopriamo il nostro mondo interiore, le nostre emozioni e stati d’animo. Non bisogna confondere le solitudini con l’isolamento. Perché la solitudine di noi che siamo qui per riflettere è dialogo intimo, l’isolamento è monologo. La solitudine è relazione con la vita, l’isolamento è fuga dalla vita. C’è un clima molto diffuso, si sta passando sempre di più dall’ecosistema “all’egosistema”, all’individualismo, all’egoismo. Dobbiamo lottare contro la malattia che è la delega, il pensare che tocca sempre ad altri fare, ognuno ha il suo ruolo.
Ai giovani
L’ultima parola la dedico i ragazzi. Voi rappresentate il presente e anche il futuro. Voi siete il presente che incalza e chiede la possibilità di esprimersi e di farsi moltiplicatore di vita. La vita che sentite così forte e urgente dentro di voi. Ma ve lo dico da grande che vi vuole bene: diffidate da chi non vi ascolta, da chi parla di voi ma non parla con voi. E decidono sulla vostra pelle e dall’alto leggi, meccanismi, senza ascoltare la vostra voce. Sappiate distinguere tra i seduttori e gli educatori. I seduttori vi vogliono suggestionare, rapire con mille parole studiate, scintillanti ma vuote. Gli educatori, gli animatori, i catechisti, i vostri genitori invece vogliono rendervi persone libere. Forza! Anche nei momenti di fatica non scoraggiatevi mai, ne vale la pena. Costruiamo una nuova forza generatrice, giovani e adulti insieme. Abbiamo bisogno della vostra passione e impegno. Non mettete la vostra libertà in vendita lasciandovi tentare dalle lusinghe di una società delle merci, spacciatrice di illusioni. E combattiamo insieme quella sorta di rassegnazione in tante persone che pensano che le cose non cambieranno mai, oppure dei neutrali o dei mormoranti, quelli che non dicono mai niente, ma poi giudicano, attaccano, semplificano, e distruggono. Noi dobbiamo essere chiari, puliti, trasparenti, umili, coi piedi per terra e chiedere sempre a Dio che ci dia una bella pedata per andare avanti.