18 Ottobre 2021
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La questione formativa nella Chiesa è un tema che ricorre da lungo tempo. E non potrebbe essere altrimenti. Incontri, conferenze, convegni e proposte di itinerari si sono moltiplicati negli ultimi decenni, ma la sensazione è che gli sforzi delle Diocesi e delle parrocchie, delle associazioni e dei gruppi abbiano prodotto risultati non proprio incisivi, soprattutto in riferimento alla crescita della vita comunitaria. E si tratta di un aspetto che non può non incidere sulla comprensione e sull’attuazione della sinodalità, tema che stiamo mettendo in evidenza nelle nostre agende ecclesiali. Credo difficile però prendere in esame il senso del cammino sinodale se lo separiamo dall’esigenza di un percorso di conversione. Convertirsi infatti non è semplicemente un atto puntuale, immediato – come avvenne ad esempio in San Paolo – ma è piuttosto un processo che dura tutta la vita, che non si conclude mai per i singoli e per la stessa Chiesa. Innamorarsi della sinodalità allora, del camminare cioè insieme, comporta una conversione, “sposandone” tutte le dinamiche e incarnandole nella storia della Diocesi come della parrocchia. Quali risultati positivi potrebbero emergere da un cammino di sinodalità, ad esempio, se si continua a fare proposte formative di tipo intellettualistico (vedi la catechesi), con l’unica preoccupazione di trasmettere contenuti, e dove la formazione è solo e semplicemente in-formazione? Formarsi alla sinodalità implica che ognuno, oltre a conoscere intellettualmente cosa questo significhi, è chiamato a mettersi in discussione, disponendosi a un cambiamento (conversione), e agevolando prassi sinodali non teoriche. Significa partire da esperienze piccole e feriali che si creano nelle parrocchie attraverso gli organismi di partecipazione e i gruppi parrocchiali, coinvolgendo quelle persone che vanno dal coro ai catechisti. Si tratta di prassi che diventano sinodali grazie al dialogo e all’accettazione delle carenze, nella consapevolezza che si può sempre crescere (e convertire) grazie a esperienze formative che cambiano se stessi e contribuiscono a migliorare la propria comunità. Questo permette di fare una vera esperienzacristiana (non solo intellettuale ma anche affettiva), assumendo la dinamicità di morte-risurrezione come modello del cammino. La sinodalità, allora, non è prima di tutto prassi ‘democratica’ – non si cresce nella Chiesa a colpi di maggioranza! – ma esperienza spirituale, perché quando si è animati dallo Spirito del Risorto ci si converte sul serio, imparando a vivere nella Chiesa con uno sguardo comunitario, di popolo. Papa Francesco ci suggerisce un metodo infallibile per formare e formarsi alla sinodalità, lo fa quando ci invita a disporci di fronte alla realtà personale e complessiva «con la mente aperta e in ginocchio» (Veritatis Gaudium, 3). © riproduzione riservata