28 Giugno 2022
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Nuoro - Il 23 giugno, presso Biblioteca Satta di Nuoro, la Sezione Territoriale di Nuoro UN.A.S. ha promosso un dibattito sul sequestro di Luca Locci avvenuto nel 1978 e raccontato nel libro Il sequestro di un bambino. Una storia vera (La Zattera edizioni). A condurre i lavori l’avvocato Sabrina Cadinu.
Il presidente avvocato Priamo Siotto nel ricordare i sequestri in Sardegna negli anni 60, 70 e 80, ha sostenuto che cause non sempre erano dovute a situazioni di disagio economico ma al desiderio di facili guadagni. Affermazione condivisa dal sindaco di Nuoro Andrea Soddu che ha parlato di anche di un fenomeno socialmente tollerato che ha compromesso lo sviluppo culturale ed economico delle zone interne.
La procuratrice di Nuoro Patrizia Castaldini ha puntualmente ricostruito e analizzato il reato dei sequestri che aveva sostituito quello meno redditizio e più rischioso dell’abigeato. «Quelle associazioni criminali non organizzate – ha detto- cessavano di esistere sfociando in faide quando la spartizione del denaro non era ritenuta congrua. Negli anni ‘90 il sequestro di persona era meno frequente per l’affermarsi di attività criminali più lucrose come lo spaccio della droga ma anche per il potenziamento delle indagini e delle misure preventive».
Per l’avvocato penalista Francesco Lai il radicarsi del fenomeno è stato favorito da un certo connubio sociale. «Nell’esercitare la mia professione – ha sottolineato Lai – non ho mai incrociato il sequestro di persona, pur avendo vissuto gli anni dei processi. Mio padre, che aveva provato orrore per il rapimento di Farouk Kassam, dopo 2 anni dal sequestro assunse la difesa di uno degli accusati di quel reato. Seppur molto giovane, cominciai a capire quanto fosse delicata la funzione dell’avvocato come sentinella della legalità, come difensore del diritto di ogni uomo ad affrontare un processo equo. Il reato di sequestro di persona, che aveva come obiettivo quello di aggredire il patrimonio, nel corso dei decenni ha iniziato a declinare fino a scomparire, grazie al progresso della scienza investigativa e alla confisca di patrimoni illeciti».
Di grande pathos il confronto fra Luca Locci e il giornalista scrittore Luciano Piras.
«Cosa è rimasto di quel bambino di 7 anni? Perché hai avuto la necessità di scrivere questo libro dopo diversi decenni? Quale il senso delle parole inumana crudeltà? Quali i momenti più difficili?». Queste alcune delle domande che hanno messo a nudo emozioni e sentimenti di un bambino oggi uomo. Luca non si sottrae a nessuna risposta: «Non libro, ma racconto – ha precisato –. Parlo del sequestro dal punto di vista di figlio e scrivo per chiudere un cerchio. Togliere la libertà ad un ragazzino di 7 anni è “inumana crudeltà”. Ogni momento di quel sequestro è stato difficile per me. Mi hanno fatto bere acqua calda, battuto le canne del mitra sul fianco per indurmi a restituire una bottiglietta di succo di frutta che avevo nascosto per facilitare l’identificazione dei luoghi, ho dormito per terra mentre i topi intessevano danze sul mio corpicino. Non ho mai avuto la possibilità di potermi lavare neppure le mani. Credo non ci sia altro da aggiungere».
Quando a sorpresa Luca ha estratto da una scatola i pantaloncini, la camiciola e le scarpette che ha indossato durante i 3 mesi di prigionia e che mai ha voluto lavare, una grande commozione ha invaso la platea.
Poi l’ultima domanda: «Alla fine del libro accenni ad un incontro con uno dei carcerieri collocando il fatto fra realtà e desiderio. Si tratta di un’immaginazione voluta… oppure?».
«Non posso dire una parola in più di quanto scritto nel libro». Ma dopo una breve e sofferta pausa ha aggiunto: «Dico che l’incontro è avvenuto davvero».