Intelligenza Artificiale e ragione umana
di Francesco Mariani

31 Agosto 2024

4' di lettura

Dai vari convegni sull’Intelligenza Artificiale, cui ho partecipato, mi sono diventate ancor più chiare alcune cose. La prima è che c’è una grande e bella differenza tra intelligenza e ragione. L’intelligenza è la capacità di connettere un mezzo con un fine. Da questo punto di vista anche gli animali sono intelligenti. Se ad una scimmia si fa vedere come ficcare, con un martello, un chiodo in un muro essa è capace di replicare questa operazione. Se ad un asino (animale intelligentissimo) gli fai percorrere un sentiero di campagna, dove magari c’è una pozza per bere, tranquillo tu che quel percorso lo ripeterà da solo e si adirerà se lo cambi. Non riesce però a capirne il perché, il senso. Questa facoltà è tipica della ragione: essa non si accontenta di premere un interruttore per accendere una luce: vuole capire perché si accende, che senso ha e se è opportuno accenderla, quali sono le conseguenze di questo gesto. La ragione connette il particolare con il tutto cogliendone il significato, l’origine ed il fine, per arrivare ad esprimere un giudizio. È rapporto con il mistero perché consapevole che l’infinito non può essere contenuto nelle nostre categorie logiche e che esse non sono la misura della realtà. La ragione domanda la fede e viceversa. Perché la vita, nella sua ultima essenza, è una domanda, un chiedere. Come diceva sant’Agostino: «Il padrone comanda e il povero, il vero uomo, domanda». 

Oggi ci muoviamo dentro l’orizzonte dell’intelligenza o, se preferite, della “ragione strumentale” il cui succo lo possiamo riassumere così: ragionevole è ciò che mi è utile. In tal modo la ragione “soggettiva” diventa strumento di dominio sulla natura, del dominio dell’uomo sull’uomo. Il fare, l’agire viene prima del pensare, l’istinto sostituisce il giudizio in un mondo di eterodiretti, telecomandati. Prendiamo atto che esistono delle agenzie matrimoniali che tramite Internet ti suggeriscono chi sia la tua moglie o il marito ideale; altre che ti dicono cosa devi mangiare o bere oppure no; incalcolabili le altre ancora che ti suggestionano sul colore e la forma delle mutande. Roberto Vecchioni canta che «tante cose succedono ma ci illudiamo di inventarle noi». È proprio vero.  

A proposito di IA, ultimo ritrovato della ragione strumentale, Noam Chomsky, luminare degli studi linguistici, a 95 anni, colpisce nel segno quando dice: «Smettiamola di chiamarla “Intelligenza Artificiale” e chiamiamola per quello che è e fa un “software di plagio”». Essa: «Non crea nulla, ma copia opere esistenti, di artisti esistenti, modificandole abbastanza da sfuggire alle leggi sul copyright. Questo è il più grande furto di proprietà intellettuale mai registrato da quando i coloni europei sono arrivati nelle terre dei nativi americani».

In un contesto dove la ragione è rattrappita non si tratta di negare le opportunità che l’IA offre ma di interrogarsi sugli effetti che a lungo termine si avranno sull’efficienza e sulla qualità del lavoro degli studenti in particolare. Dipendere dalle IA per svolgere i compiti può ridurre il pensiero critico e la capacità di risoluzione creativa dei problemi. Questo potrebbe portare ad una generazione di individui bravi nell’utilizzo delle tecnologie, ma carenti di pensiero critico (che vuol dire scegliere, decidere, osservare, libertà e desiderio di verità) e di analisi approfondita. La tecnologia è neutra, la si può usare per la vita o per la morte. Questa scelta non può dipendere da un algoritmo ma solo da una ragione oggettiva. In fondo è una delle tante cose che la Pastorale del Turismo ha tentato di farci capire. 

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