24 Novembre 2020
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«L’impatto fu un vero pugno allo stomaco. Appena arrivati nel centro smistamento aiuti, la prima cosa che notammo fu l’enorme catasta di bare, molte bianche. Poco lontano, l’incontro con un vecchio emigrante appena rientrato dall’America per vedere in che condizioni era la casa che aveva fatto sistemare con i risparmi di una vita e nella quale voleva trascorrere il resto dei suoi giorni. L’edificio era tutto crepe e crolli: “Mi toccherà ripartire per non tornare mai più”, ci disse. A Laviano, davanti a un palazzo crollato, in un panorama di devastazione e cumuli di macerie, notammo una Fiat 126 con un singolare cartello attaccato: “Sono un maestro terremotato”. Ci avvicinammo a quest’uomo, sguardo perso tra chissà quanti pensieri. Ci raccontò la sua storia e di come, appena qualche giorno prima, aveva dissepolto il corpo della moglie e della sua bambina, scavando a mani nude. Il volto, quello di un uomo disperato che aveva parole solo per la bimba. Quell’incontro si concluse con un regalo: un libro di poesie, che aveva scritto prima di quella tragica notte del 26 novembre 1980». Quella del dopo terremoto dell’Irpinia, per me e diversi miei amici, è stata sicuramente una delle esperienze più forti della vita. Qualche giorno dopo il disastro con Antonello Menne, Gian Piero Sirca e altri della “cricca” di quegli anni, dopo aver visto e rivisto quelle immagini di distruzione in tv e ascoltato l’appello del presidente Pertini, decidemmo che non potevamo stare con le mani in mano, senza far nulla. Non c’erano social ma Radio Barbagia si dimostrò uno strumento eccezionale. Nel giro di pochi giorni organizzammo una trasferta in Irpinia, dove c’era tanto bisogno di aiuto. Dalla Radio partì un appello: «Dateci una mano perché non vogliamo andare a mani vuote». Arrivarono tantissime telefonate. Le prime, le ricordo, alcuni pastori di Fonni e Dorgali: «Possiamo darvi solo del formaggio». Nel giro di poche ore quelle forme di formaggio diventarono quintali e poi tonnellate, tanto che appena arrivammo a San Gregorio Magno (dove ci avevano assegnati), per diversi giorni andammo di casa in casa, di tenda in tenda a distribuire forme di pecorino. Non ci occupammo solo di questo, ma il racconto diventerebbe troppo lungo. Il pensiero di quella mobilitazione mi è tornata in mente in queste settimane di emergenza Coronavirus, perché anche in questo difficile momento, nel nostro territorio, c’è chi non è voluto restare solo ad osservare quanto stava e sta succedendo. Penso ai volontari che stanno dando una mano agli anziani e a chi vive solo. Ai tanti che da settimane sono impegnati a sostenere chi è in difficoltà: dalla Caritas alla protezione Civile, alle associazioni di soccorso. Penso a Antonella, Nina, Roberta e Giulio che hanno avviato portato a termine una poderosa raccolta fondi e hanno acquistato ventilatori, caschi e mascherine per il San Francesco. Penso a Giorgio, Barbara, Annamaria, Giusy. Sandra, Annamaria, Marilena, Gianna, che fra Oliena e Nuoro hanno iniziato a realizzare migliaia di mascherine (gratis è bene precisare), diventando poi un esempio seguito da molti altri in ogni angolo dell’isola. Penso a quanti, in questo momento delicato, stanno andando a donare il sangue perché si è in perenne emergenza. E poi la mobilitazione della comunità senegalese o a quella cinese, con la telefonata di Susanna dopo l’appello della Radio che si è tradotta in poco tempo in cinquemila mascherine e centinaia di tute speciali, cappellini e visiere per vari reparti del san Francesco. Penso a Sandro che ci ha dato il primo rifornimento di TNT (necessario per le mascherine) ed elastici, a Gianni, Maria, Michele, Katia, a signora Pietrina, Caterina, Anna, Patrizia o alle ragazze di un supermercato che hanno rinunciato a una decina di mascherine purché finissero al san Francesco, alle prese con il momento più difficile della sua storia. Grazie a loro abbiamo rifornito – credo nel momento di maggiore penuria di materiale -: le case di riposo di Nuoro, Orani, Bitti, la comunità alloggio di Nuoro, diverse associazioni di soccorso, volontarie e personale che assistono anziani a Siniscola, Macomer, qualche farmacia, i reparti di Rianimazione, Terapia Intensiva, Pronto Soccorso, 118, Nefrologia, Ematologia (ma l’elenco è lungo) del nostro Ospedale. Molti anziani sono potuti andare a ritirare la pensione con una sicurezza in più perché dietro ogni mascherina c’è una persona protetta. Quando ci sono eventi di grande portata non mancano quelli che fanno della critica il loro sport quotidiano, c’è l’esercito dei saputelli, di quelli che improvvisamente diventano virologi, esperti in epidemie, in protezione civile, in psicologia e sociologia, per non parlare di coloro che sui social hanno mostrato il lato peggiore fra insulti e violazioni della vita di positivi al virus o presunti tali. Ma c’è anche un esercito che si è impegnato e si impegna in una solidarietà concreta, senza fronzoli e (quasi sempre) senza sbandierarla. Un impegno continuo al servizio degli altri. © riproduzione riservata