Io voglio sognare. Sogno questo che sento dentro. (San Francesco)
“Jeo cheria”, il desiderio ridotto a questua
di Francesco Mariani

7 Dicembre 2022

4' di lettura

L’Avvento è periodo umano e liturgico di veglia, attesa, desiderio e speranza. Ma è quest’ultima parola che racchiude le altre. Una speranza certa, compimento di ogni desiderio, di ogni “jeo cheria” (io vorrei…), di ogni anelito del cuore che ci portiamo dentro, nell’intimo, fin da quando siamo stati concepiti. Il desiderio è la struttura del nostro essere umani, creati ad immagine e somiglianza di Dio, rapporto con l’infinito. Ed ogni giorno scopriamo che a questo desiderio, con le sole nostre forze, non possiamo dare risposta. Perché cresce sempre più rispetto ad ogni traguardo, ogni meta da noi raggiunta. Il desiderio è cosa diversa dal bisogno. Il secondo lo puoi appagare, sopire, se uno ha fame, mangia ed è soddisfatto, dice basta. Il primo invece cresce sempre di più quando pensi di esserne arrivato al massimo. Se uno ama ed è amato non dice basta, attende infinitamente di più ancora.

C’è una bella canzone dei Bertas, Como cheria, che l’allora bambino Adriano Mallus cantava la domenica mattina, in diretta, a Radio Barbagia lasciandoci tutti con gli occhi lucidi, a partire dalla mamma. Dalla bocca di un bambino sentivamo una semplice e struggente descrizione del desiderio: “Deo cheria s’oriente/ E s’occidente cheria/ Su minoreddu sezzidu in palas/ Pro nunziare sas alas… Chi donzi Cristu lasset sa rughe/ Chi s’adduret s’istiu… Como cheria… Fin’a siccare su mare e su riu/ A los intendere colare intr’a mie… E una manu ch’istringhet sa manu como cheria”.

E’ proprio così: il tempo è respiro dell’eterno, l’attimo ha uno sconfinato orizzonte, neanche il mare ed il fiume ci appagano, all’anelito di pace manca sempre qualcosa. “Ci hai creato per Te ed inquieto è il nostro cuore finché non riposa in Te”. Vale per tutti ed in tutti i campi dell’essere ed agire degli uomini. Tutto questo lo possiamo declinare in forma individualistica, dell’io espanso, o interiorizzare dentro la speranza che Qualcuno lo porti a compimento. Ma quello che oggi accade è la riduzione del desiderio al bisogno.

Stando all’ultimo rapporto Censis, gli italiani hanno smesso di desiderare, sono diventati malinconici, tristi, pessimisti e rassegnati. La pandemia che perdura, una nuova guerra cruenta nel cuore d’Europa, l’inflazione tornata ai livelli record degli anni 80, la morsa energetica: quattro crisi in tre anni, che si sommano alle vulnerabilità sociali ed economiche strutturali, mai realmente aggredite, hanno il loro peso.

Gli italiani non si fanno più illusioni. Sono convinti che l’impennata inflazionistica durerà a lungo, che non potranno contare su aumenti delle entrate familiari, temono che il proprio tenore di vita si abbasserà. Logico che i privilegi siano considerati sempre più odiosi. La stragrande maggioranza degli italiani non sopporta più le differenze eccessive tra le retribuzioni dei dipendenti e quelle dei dirigenti, le buonuscite milionarie dei manager, le tasse troppo esigue pagate dai colossi del web. Sotto accusa anche i guadagni facili degli influencer, gli sprechi per le feste delle celebrities, l’uso dei jet privati. Indignati ma rassegnati.

Ridestare il desiderio, questo ci chiede l’Avvento. Ripensare ai contenuti piuttosto che ai contenitori (dei primi ne abbiamo pochi mentre dei secondi esondiamo, almeno nel nuorese).

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