La celebrazione dell'Eucarestia in Cattedrale dopo la consacrazione del nuovo altare e la benedizione dell'ambone (photo by Luca Mele)
La Cattedrale, una casa per tutti
A conclusione del Giubileo per i 150 anni della dedicazione, la consacrazione del nuovo altare e la benedizione dell’ambone
di Redazione

18 Luglio 2024

9' di lettura

L’omelia.

Nel ricordare il giorno della dedicazione della nostra Cattedrale e, insieme, la conclusione dell’anno giubilare dedicato ai primi 150 anni, è come se prendessimo atto che le dedicazioni non sono mai fatte una volta per tutte. 

Nella storia delle nostre chiese, e non solo della Cattedrale, c’è una lunga serie di dedicazioni che ci dimostrano che esse non avranno mai fine, perché i luoghi, anche liturgici, sono sempre incompiuti, come d’altronde è sempre in itinere la stessa comunità e la sua costruzione, con un obiettivo che rimane però uno: dare nel tempo nuova voce, nuovi spazi e nuovi orizzonti al Vangelo, alla sua comprensione nel tempo, per riscoprire anche oggi che solo Gesù è la pietra, quella d’angolo, che sta a fondamento di tutto quello che si costruisce.

Per questo dedicare oggi il nuovo altare, la nostra mensa eucaristica, e benedire l’ambone, luogo della proclamazione della Parola, non ci sorprende, perché siamo sempre alla ricerca di luoghi simbolo per rappresentare la presenza viva del nostro Maestro.

Il brano del profeta Baruc ci ha ricordato che in Dio la grandezza, quella che visibilmente emerge anche in queste mura, deve sempre sposarsi con la Sapienza. Senza la Sapienza, che viene dall’alto, la grandezza diventa un delirio e una ubriacatura. Il tempio, quindi la chiesa come comunità, è la scuola della vera grandezza, dove si impara a vivere con anima e cuore grandi. 

L’ha ricordato Paolo scrivendo a Timoteo: “Il Signore conosce quelli che sono suoi”, e ancora: “Si allontani dall’iniquità chiunque invoca il nome del Signore”. Oggi ci ripetiamo, ancora una volta, che le vere fondamenta appartengono a Dio, e solo per questo resistono e sono salde nel tempo. 

Cambiano gli interpreti e mutano i luoghi e gli oggetti sacri, ma è solo Lui che costruisce e che tiene unita la Chiesa. Per questo la chiesa Cattedrale è la chiesa della comunità diocesana che si ritrova unita col Vescovo, divenendo così riferimento della comunione di tutta la Chiesa locale.  

La Dedicazione di oggi, dicevo, ci ricorda che questa chiesa Cattedrale ha una storia e non è immobile nel tempo. Una memoria plurale che emerge prepotentemente quando si arriva nella piazza circostante, con questo edificio che si rivela come un’apparizione, un sussulto, un canto che si eleva al cielo e che ti invita prima a sostare ammirato e poi ad entrare, scoprendovi una casa, una casa per tutti, dove ritrovarsi idealmente con le moltitudini che ti hanno preceduto. 

Casa è l’immagine più cara per parlare della Chiesa, molto presente anche nei brani biblici scelti oggi. Nel brano del profeta Baruc c’è subito un’esplosione di ammirazione: “O Israele quanto è grande la casa di Dio”. Poi nella lettera a Timoteo: “In una casa grande però non vi sono soltanto vasi d’oro e d’argento, ma anche di legno e di argilla”, per ricordarci che c’è posto per tutti. 

E infine nel vangelo, una casa diventa il luogo dove Gesù trova accoglienza e spazio.

Giusto chiedersi se quando entriamo nella nostre chiese ci sentiamo anche noi attesi, avvertiamo di essere a casa, e percepiamo il beneficio di un’aria avvolgente, priva di giudizi, ma feconda di energia e di parole terapeutiche. 

Marta e Maria ci rappresentano tutti e sembrano raccontare due modi di vivere la presenza di Gesù nella propria vita. Da una parte l’efficienza, la correttezza formale, le formulazioni e le regole necessarie comunque anche per rispondere alle esigenze del dovere dell’ospitalità, dall’altra parte l’ascolto, ovvero la gratuità della presenza. 

Ci fa riflettere l’attivismo di Marta, che sembra nascondere qualcos’altro. Proprio a causa dei molti servizi, lei si distrae dall’ascolto delle parole di Gesù. Può darsi che a volte, proprio perché non vogliamo ascoltare, ci diamo da fare in mille maniere, nascondendo dietro l’apparenza dell’efficienza, la nostra vera intenzione, quella di non essere disturbati dalle parole di Dio. 

Può darsi anche, come capita, che Marta non volesse in quel momento ascoltare, ma Gesù le chiede comunque di prendersi la responsabilità di quella scelta e di non farla ricadere su Maria, che ha scelto un altro atteggiamento.  

Questo ci conferma che da sempre, in ogni comunità cristiana, si registravano e si registrano difficoltà, tensioni tra i diversi servizi e i diversi modi di vivere la vita cristiana. 

Gesù continua a ricordarci che c’è un modo di risolvere i conflitti, ed è quello di riconoscere che c’è un primato da rispettare: il primato della parola di Dio, da ascoltare liberi da affanni, e quello dell’Eucaristia, cioè la sua presenza da condividere come cibo e bevanda, perché lungo è il cammino della vita. Senza questi due spazi, senza questi due doni, non vi è comunità cristiana. 

Quello che è certo che Maria col suo atteggiamento, e grazie all’ascolto di una Presenza, ridefinisce il proprio statuto di vita e la propria identità, passando dall’essere donna a divenire discepola. Ed è questo lo scopo per il quale noi oggi siamo qui. 

Riscopriamo oggi la gioia di appartenere alla Chiesa, che ha un luogo bello come la nostra Cattedrale, ma ha sempre bisogno, come tutte le comunità della Diocesi, di essere una comunità che si ritrova ad ascoltare e a condividere la presenza del suo Signore e Maestro.

Scegliamo di essere mariani, perché cristiani, affinché la Vergine Maria, col titolo di Santa Maria della Neve, ci accompagni in ogni tempo come una Madre dolcissima.

La nostra è una celebrazione ricca di simboli e di gesti. In ognuno di essi possiamo rileggere la nostra storia fin dal battesimo; una storia che continua, che ci precede e che continuerà anche senza di noi. 

È la storia di un amore, quello di Dio, e dei nostri tentativi, talvolta faticosi, di rispondergli. 

Lui non smette di amarci. Noi non smettiamo di cercarlo autenticamente.

Antonello Mura


  • Il fotoracconto di Luca Mele

Il saluto del parroco 

Il primo grazie è a Dio che 150 anni fa ha scelto questo luogo per incontrare noi, suoi figli, comunità cristiana radunata nel nome di Cristo. Lo ringraziamo perché oggi, al compimento del 150mo anno dalla dedicazione della chiesa, rinnova la sua fedeltà con la consacrazione di questo altare. Lo ringraziamo nella persona dei Vescovi che hanno hanno ufficiato in questa Chiesa per essere pontefici tra Dio e noi. Lo ringraziamo attraverso le persone che hanno fatto sì che si arrivasse a questo momento: l’ufficio dell’edilizia di culto della nostra Diocesi, l’architetto Angelo Ziranu, le maestranze che hanno realizzato fisicamente l’altare e l’ambone, la ditta Desogus Marmi. Permettetemi di ringraziare, senza citare nessuno, ma sicuro il mio ringraziamento ogni qual volta celebrerò su quest’altare, a chi in questi giorni ci ha aiutato a rendere decorosa la chiesa, a preparare e a far sì che questa fosse davvero una giornata speciale nella nostra comunità e nella storia della nostra diocesi. 

L’altare è ara sacrificale ed è mensa conviviale. Preghiamo sempre di più perché queste due dimensioni siano sempre vissute da tutti noi battezzati uniti a Cristo, vero altare e vero luogo del ringraziamento a Dio. Grazie in modo speciale a monsignor Antonello Mura, che ha presieduto questa Eucarestia, grazie al capitolo della Cattedrale, a tutti i sacerdoti della nostra Diocesi, a quelli presenti e a quelli anche che con la loro sofferenza e la loro malattia fisica offerta sono a noi vicini in questa solenne liturgia. Grazie a tutti per la vostra presenza e la vostra preghiera.

Giovanni Maria Chessa


I ringraziamenti del Vescovo

«La dedicazione di questa altare, ma soprattutto l’adeguamento liturgico, – ha detto monsignor Mura prima della benedizione – hanno una lunga storia. C’è gente che ha lavorato e che ha anche sofferto. Vorrei ricordare e ringraziare, perché parte di quello che abbiamo vissuto ha anche una radice, il mio predecessore il Vescovo Mosè che è tra quelli che hanno creduto e tante volte anche sofferto per questo. L’adeguamento non è ancora completato, l’Ambone ha bisogno di qualche piccolo accorgimento e soprattutto la sede non è stata ancora adeguata secondo i criteri che il Concilio ci ricorda, sarà un lavoro successivo. 

Con i presbiteri presenti e assenti per vari motivi, con i diaconi, con il Capitolo dei Canonici, l’Arciprete parroco, l’Ufficio liturgico, ringrazio tutti per la presenza, le rappresentanze delle varie comunità che hanno voluto intervenire. A nome di tutti – ha poi concluso il Vescovo – saluto e ringrazio anche le autorità civili e militari presenti, tra le quali voglio ricordare il commissario straordinario del Comune, dottor Giovanni Pirisi, che per la prima volta partecipa a un momento ecclesiale così importante. Sarà lui poi, insieme ad altri, a firmare il verbale di questa celebrazione che passa alla storia».

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