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Don Carlo Maria Zanotti, professore presso l’Università pontificia Salesiana di Roma ed esperto nel campo dell’educazione, ci parla dell’importanza della formazione permanente nella vita dei presbiteri e dei diaconi.
Cosa si intende con formazione permanente del clero? Quale il rapporto con la formazione iniziale nei seminari in vista dell’ordine sacro?
«Mi piace molto quello che troviamo nella nuova Ratio: “L’espressione ‘formazione permanente’ richiama l’idea che l’unica esperienza discepolare di coloro che sono chiamati non si interrompe mai”. Questo è il concetto di formazione permanente, un cammino che prosegue e che necessita costantemente di sostegno, forza, verifica, accompagnamento. Un discepolo è sempre in cammino dietro a Gesù, nella graduale configurazione e conformazione a Cristo. La formazione permanente è, se così si può dire, il segno di una buona formazione iniziale. Se la formazione dei seminari è efficace, lo si vede nel vigore del cammino successivo, perché ogni formazione autentica dovrebbe abilitare a camminare da soli e costantemente. In questo senso, il rapporto tra formazione iniziale e permanente è unitario, va pensato e strutturato insieme. La preoccupazione di un formatore dovrebbe essere sempre quella di favorire un processo continuo di fedeltà, è come se si dovesse aiutare la persona a mantenere viva l’attenzione al proprio cammino di fedeltà e di perseveranza, rafforzare la consapevolezza della necessità di sentirsi sempre in cammino verso la maturità».
Quali sono le caratteristiche di un impegno personale di crescita e un progetto comunitario di formazione tra confratelli? E quale la correlazione tra le due dimensioni?
«Mi pare che anche in questa relazione, cammino personale e comunitario, sia in gioco la maturità delle persone che sentono la necessità di un impegno quotidiano per mantenere viva la loro testimonianza e il loro servizio. Se dovessi evidenziare una caratteristica dell’impegno personale di crescita, direi immediatamente la costanza: essere costanti nei propri impegni, ma soprattutto fedeli alla propria identità. Si tratta di non dimenticare mai il “perché” del nostro agire. Oggi siamo bravissimi a fare le cose e anche ad organizzare in modo eccellente risposte alle varie emergenze… però, molte volte, a questo fare non corrisponde sempre la chiarezza del perché le facciamo. Qui si gioca la verità dell’impegno personale di crescita: non dimenticare le motivazioni della nostra sequela, la gioia del nostro servizio generoso e gratuito verso tutti.
Il rapporto tra i due impegni, personale e comunitario, lo vedo nella relazione, nella capacità di creare legami belli tra i presbiteri disposti a sostenere, motivare, accogliere, orientare. Una relazione di amicizia dove il volersi bene diventa quel cammino insieme che offre una testimonianza autentica di vangelo. Per questo la Ratio definendo gli ambiti dove si sviluppa la formazione permanente parla di “fraternità presbiterale”».
A quali bisogni del tempo presente deve saper rispondere la formazione permanente dei consacrati? Quali sono oggi temi più necessari nel panorama italiano su cui il clero deve riflettere?
«Oggi la formazione permanente deve sostenere l’impatto con la contemporaneità che, intendiamoci bene, non è solo negatività (anzi!), ma porta a vivere autonomamente la vita in tante forme di individualismo che generano poi solitudine, tristezza e mancanza di senso. Mi pare che essa debba sostenere molto il consolidamento dell’identità dei consacrati e dei presbiteri, per una gioia di vita che esprima tutta la bellezza della scelta, nella sua maturità e responsabilità.
Oltre all’identità, credo che uno dei temi più necessari sia quello di maturare in un’umanità capace di «stare insieme e lavorare insieme». Oggi si parla molto di sinodalità, ma se prima non c’è il desiderio di condivisione, di fraternità, di prossimità, difficilmente si riuscirà a camminare insieme. Penso a una umanità fatta di quella relazionalità evangelica che fa la differenza in ogni tipo di rapporto. Giustamente papa Francesco, nella Evangelii Gaudium, quando parla di “Chiesa in uscita”, afferma: “La Chiesa in uscita è una Chiesa con le porte aperte. Uscire verso gli altri per giungere alle periferie umane non vuol dire correre verso il mondo senza una direzione e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada”.
Alla luce di questa affermazione, comprendiamo immediatamente che l’«uscita», a cui fa riferimento il Pontefice, è soprattutto un’indicazione concreta per un cammino di educazione e di conversione personale e di rinnovamento ad una missione di custodia e vicinanza alle persone. Credo che questa sia, anche per i consacrati e i sacerdoti una sfida formativa!».
Il concetto di formazione non riguarda solo l’aspetto culturale o intellettuale, ma specialmente la dimensione spirituale: cosa significa questa verità per un ministro?
«Semplicemente che la migliore formazione permanente per un sacerdote è la celebrazione quotidiana della sua Eucaristia, il suo frequentare quotidianamente la Parola di Dio, il celebrare con regolarità e passione la Liturgia delle ore. Questo ci dà quel respiro per poter affrontare la giornata senza cadere nella malattia di questo tempo che è l’agitazione. Mi è rimasta efficacemente in mente una risposta che Carlo Maria Martini diede ad un sacerdote il quale chiedeva come fare per poter ottemperare a tutto nelle emergenze e nello stress della vita parrocchiale. Il cardinale diceva: “La cosa più importante che devi fare è celebrare l’Eucaristia e dire il breviario! Questo è il centro della vita del sacerdote”. E questo è il cuore della formazione permanente. Non si tratta, evidentemente, di “fare”, ma di “vivere una relazione intima e profonda con Gesù”. La dimensione spirituale per un sacerdote o consacrato, è Gesù, la relazione con Lui. Lui è al centro, non noi! La verità della dimensione spirituale per un ministro è avere cura della amicizia con Gesù».
Nella specificità dell’identità diocesana, quali frutti garantisce la formazione permanente nella fraternità presbiterale e nell’esercizio pastorale a servizio del popolo di Dio?
«I frutti specifici di questo cammino quotidiano di formazione li sintetizzerei così: una gioia autentica e costante della propria identità; l’equilibrio umano e la delicatezza, che diventano a loro volta tenerezza e carità verso tutti; sano realismo nel saper affrontare le fatiche e le debolezze che sempre accompagnano il cammino di ciascuno; fraternità sana e contagiosa che si traduce in una prossimità attenta e concreta; profondità spirituale che diventa attrazione e coinvolgimento per ogni fedele; cuore pastorale, ossia una passione apostolica che si proietta verso gli altri senza inutili infantilismi e pretese egoistiche.
È il cammino quotidiano per essere «missionari innamorati del Maestro, pastori con l’odore delle pecore che vivono in mezze ad essere per servire e portare loro la misericordia di Dio».