11 Novembre 2021
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La cultura è sempre e in ogni sua forma introduzione alla realtà, a tutta la realtà. Potremmo dire che la cultura è la più alta forma di educazione che l’uomo riesca a produrre quando ottiene la perfetta unità di forma e di significato. È da questo punto di vista che ci troviamo costretti a esprimerci, dato il clamore suscitato dagli eventi, sulle polemiche in corso per le manifestazioni dei centocinquant’anni dalla nascita di Grazia Deledda. I fatti sono abbastanza semplici. Nello Stato italiano vige la legge 420 del 1997, la quale cerca di mettere ordine nella selva delle commemorazioni, dei comitati e delle edizioni nazionali che ad ogni ricorrenza importante si costituiscono spontaneamente. Le circolari e i decreti attuativi prevedono che le domande per i finanziamenti scadano il 31 marzo dell’anno precedente le celebrazioni. In periodo Covid i termini sono stati prorogati. Nessuno si è ricordato di Grazia Deledda per tempo. È dunque stato necessario un ordine del giorno della Commissione del Senato della Repubblica affinché il Ministero trovasse fondi ulteriori per le celebrazioni deleddiane (i fondi ordinari erano stati infatti utilizzati per soddisfare le domande presentate in termini). Trovati centomila euro, si è istituito l’apposito comitato che utilizzerà le risorse per un programma ancora da farsi. La Regione, dal canto suo, ha stanziato seicentomila euro a favore della Provincia di Nuoro, la quale ha incaricato come direttore artistico il giornalista Antony Muroni, uomo di fiducia della Giunta regionale come attesta la sua nomina, d’intesa col Ministero, a presidente della Fondazione dei Giganti di Monte ’e Prama. Inoltre, sempre per manovre regionali, è diventata destinataria di altri 650 mila euro di provenienza ministeriale. Il Comune di Nuoro è rimasto fuori da tutto e da tutti, un po’ per colpa delle sue negligenze e un po’ per volontà del Governo e della Regione. Quest’ultima, lo abbiamo detto più volte sembra essere diventata ostile al capoluogo barbaricino (vedi la storia dei consorzi culturali e delle condizioni sanitarie) con strane convergenze tra maggioranza ed opposizione. Di certo manca un leale e costruttivo confronto tra i due enti. A noi ciò che fa impressione è la Deledda in appalto delle liti politiche e della vanità degli intellettuali. Ci colpisce l’uso strumentale della memoria altrui per esibire se stessi. Ci colpisce l’uso della Deledda per imbandire cene di gala del valore di cinquantamila euro. Ci colpisce la mondanità spacciata per cultura. Ci colpiscono i potenti che usano tutto e tutti per legittimarsi. Dinanzi a questo spettacolo noi non partecipiamo al chiasso, alle conferenze, alle dispute, agli spuntini di promozione, agli intellettuali autocertificantesi come tali. Noi ci ritiriamo da tutto questo per senso della dignità, della pulizia, dell’umiltà. D’altronde la Chiesa diocesana non è stata minimamente coinvolta in queste celebrazioni e risulta assente un aspetto decisamente non secondario della Deledda: la sua religiosità. Noi cristiani non siamo (o non dovremmo essere) mondani. Continueremo a far leggere la Deledda, ma senza grancasse, aperitivi, cene, retorica e propaganda. Noi continueremo a leggerla in silenzio, come fanno tutti i buoni lettori. © riproduzione riservata