La Sardegna nuragica a Tessalonica
di Franco Pisanu

4 Marzo 2022

5' di lettura

È in corso a Salonicco, l’antica Tessalonica, la terza tappa della missione culturale che ha portato nel cuore dell’Europa oltre duecento tra i più significativi reperti archeologici sardi. Le prime due tappe del tour erano state Berlino e San Pietroburgo che insieme hanno richiamato ben duecentotredicimila visitatori. Dopo Salonicco, chiusura prevista per il 15 maggio, i tesori dell’archeologia sarda torneranno in Italia per concludere a Napoli il loro lungo tour l’11 settembre prossimo. A Salonicco per seguire l’opera di allestimento c’è anche Stefano Giuliani (nella foto in alto), direttore del Museo di Nuoro.

È sicuramente una grande emozione portare in giro per il continente europeo una parte significativa del nostro patrimonio archeologico.
«Sì, è una grande opportunità per musei importanti ma di piccole dimensioni come il Museo Asproni di Nuoro. Opportunità concessa dal settore turismo della Regione Sardegna che amministra i fondi europei della programmazione Por Fesr 2014-2020. Il Museo di Nuoro e i Musei archeologici nazionali di Cagliari e Sassari – gli altri due musei prestatori – avevano insieme prima del Covid un numero di visitatori per l’intero anno che si aggirava intorno alle 75mila presenze; invece le due tappe di Berlino e San Pietroburgo hanno fatto numeri in due mesi e mezzo di centomila visitatori l’una, quindi una enorme visibilità internazionale al nostro patrimonio culturale. È una grande opportunità di far conoscere questo patrimonio a un pubblico estremamente vasto e variegato».

Quella che sta viaggiando per l’Europa non è una semplice esposizione, c’è anche qualcosa da dire circa l’allestimento e l’apparato didattico che avete preparato.
Questa mostra vuole essere molto divulgativa, per di più viaggiando in città straniere si rivolge a un pubblico che non necessariamente conosce le antichità della Sardegna preistorica e protostorica. Oltre ai reperti che sono 188 (trenta del Museo Asproni), accompagna un apparato di comunicazione che comprende – secondo le moderne tendenze della museologia – anche video che rimandano immagini dei siti archeologici del territorio. Questo per offrire un’idea del contesto che ha prodotto i reperti in mostra. Ci sono poi modelli, ricostruzioni, fotografie, tabelle di comparazione tra quanto succedeva in questo caso in Grecia a Salonicco nel periodo in cui in Sardegna erano in uso questi oggetti. È un sistema di comunicazione pensato per essere fortemente divulgativo senza rinunciare all’attendibilità scientifica».

Vogliamo ricordare quali sono i pezzi più significativi di questa missione culturale?
«I reperti sono stati selezionati in un’ottica di complementarietà. Superando le divisioni tra le diverse amministrazioni abbiamo individuato dei pezzi che nell’insieme restituiscono un quadro completo della Sardegna prenuragica, nuragica e fino all’Età del Ferro. Nello specifico abbiamo pezzi diversi per tipologia, oggetti per l’ornamentazione del corpo, le asce, gli attrezzi da lavoro, vasi in ceramica, bronzetti. Tra i pezzi del Museo di Nuoro diversi oggetti del Neolitico in osso, ossidiana, in pietra, un bicchiere campaniforme tipico dell’Età del rame nella Sardegna, poi una bellissima collana di ambra che proviene dal santuario di Romanzesu a Bitti e la meravigliosa fiasca configurata a forma di nuraghe sempre dal territorio di Bitti».

Direttore, è esatto dire che i ritrovamenti recentemente effettuati in alcune località del nord Europa accendono nuovi interessi sui legami tra l’Isola antichissima e queste terre così lontane?
«Sicuramente le notizie accendono un interesse perché portano l’argomento sotto i riflettori dell’attualità. In realtà adesso devono essere passate al vaglio degli studiosi, essere accettate dalla comunità scientifica, inserite in un contesto di argomentazioni logiche svolte secondo il metodo scientifico prima di essere validate. Di fatto che ci siano contatti anche in queste fasi così antiche tra la Sardegna e terre anche molto lontane non è una notizia nuova. Noi sappiamo, ad esempio, che la collana di Romanzesu citata prima e altre che vengono dai santuari in Ogliastra sono in ambra e l’ambra viene dal mar Baltico. È la traccia di un contatto, magari per via indiretta, tra la Sardegna e il mondo baltico, la Polonia o la Lituania. Lo stagno, che non è presente in grandi quantità in Sardegna si trova in alcune leghe di metallo e veniva in alcuni casi dalla Scozia. Contatti su distanze anche molto lunghe sono sicuramente attestati anche già dall’Età del Bronzo». Ricordiamo che il tour dei reperti sardi, dal titolo “Sardegna Isola megalitica. Dai menhir ai nuraghi, storie di pietre al centro del Mediterraneo” fa parte di un progetto promosso nel 2017 dalla Regione Sardegna e finanziato da fondi europei. Obiettivo dell’iniziativa far conoscere anche negli altri Paesi del continente gli aspetti più significativi della preistoria della Sardegna.

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