19 Febbraio 2022
4' di lettura
In silenzio e quasi all’unanimità, il parlamento, l’8 febbraio, ha modificato gli articoli 9 e 41 della Costituzione. Si tratta di un intervento ideologico in ossequio all’ambientalismo dogmatico. È la seconda modifica costituzionale attuata nel corso di questa legislatura: la prima ha riguardato la riduzione del numero dei parlamentari. In quel caso, c’è stato un lungo dibattito nelle istituzioni politiche e nella società civile sfociato poi nel referendum confermativo. Ora invece è stato adottato un iter taciturno, quasi carbonaro. Nell’articolo 9, si introduce, accanto alla tutela del paesaggio e del patrimonio artistico-culturale nazionale, quello molto più ampio e vago dell’ambiente, della “biodiversità” e degli “ecosistemi”, ovviamente “nell’interesse delle future generazioni”. Non c’è niente di peggio, sul piano giuridico, di normative dalle quali deriva tutto ed il contrario di tutto. In base a quei nobili propositi si possono varare leggi che potrebbero portare al blocco totale di varie attività economiche, porre lo stop allo sfruttamento di qualsiasi risorsa naturale, alla costruzione di infrastrutture, a tutto quanto possa comportare una possibile, ipotetica, alterazione degli equilibri ambientali, della fauna, della flora, dell’atmosfera. Non bastavano i vincoli già esistenti, si sono poste le premesse per altri ancor più rigidi. Il mio prof. di dogmatica, un inglese, nel suo italiano non perfetto, ci diceva: “i dogmi vincolano e vinculeranno sempre”. Nello stesso articolo viene introdotta, per la prima volta, come oggetto di tutela, il capitolo degli animali. Spunta lo spettro dell’animalismo, ossia di una sostanziale equiparazione morale tra esseri umani e varie altre forme di vita. Questa clausola costituzionale apre la strada a norme e sentenze della magistratura che impedirebbero ogni uso e sfruttamento degli animali stessi con danni economici facilmente intuibili. Insomma, c’è il timore che ci facciano diventare vegani e vegetariani per legge. Ancor più insidiosa è la nuova formulazione dell’articolo 41, che già nella sua versione originaria era problematica. Essa dichiarava che l’iniziativa economica è libera, ma “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Fin qui va bene; Giovanni Paolo II, e prima ancora don Luigi Sturzo, ci ha insegnato che l’intrapresa privata è al servizio di un bene pubblico. Ora il parlamento aggiunge a queste ragioni anche gli eventuali danni alla salute e all’ambiente. Argomenti già tirati in ballo dai No Triv, No Tav, No Tap, no tutto. Ricordiamoci che in Sardegna sono stati bloccati urgenti lavori stradali e fluviali perché di mezzo c’era la tutela della gallina prataiola o acquatica; l’industria, la ricerca e losfruttamento di fonti energetiche, lo smaltimento dei rifiuti, le infrastrutture sono continuamente ostacolate, sanzionate sulla base di timori per i danni ambientali. Le nuove modifiche costituzionali alimenteranno una moltiplicazione di ricorsi, inchieste, con le conseguenze che sappiamo. Nel frattempo paghiamo bollette energetiche stellari. L’ambientalismo dogmatico (cosa diversa da un sano rispetto ambientale), fondato su una visione apocalittica del mondo, colpevolizza la presenza umana. È una vera e propria nuova religione. Nella nostra tradizione, la tutela del patrimonio naturale e storico-culturale viene considerata strettamente connessa al valore primario della civiltà e società. Ora invece il valore supremo è un vago “ecosistema” dove la presenza umana è considerata una sventura, un fattore deleterio di “crisi climatica”. Dite voi se questa non è una nuova dittatura culturale. Un tempo, il contadino rispettava l’ambiente per poter vivere, oggi dovrebbe morire di fame per tutelare cornacchie, volpi, cinghiali, storni e via elencando. © riproduzione riservata