21 Aprile 2020
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Don Riccardo Fenudi, con le comunità parrocchiali di San Paolo Apostolo e di San Francesco d’Assisi, ringrazia e ricorda don Giovanni Melis. Dopo la morte di don Pietro Muggianu, a poco più di una settimana di distanza, la comunità di San Francesco si ritrova riunita spiritualmente a piangere con l’intera diocesi la scomparsa di un altro sacerdote. In questo tempo che ci interpella e ci chiama tutti a liberare i nostri occhi da quella cecità che impedisce di guardare noi e gli altri con gli occhi di Gesù, tempo che invita tutti a togliere dai nostri cuori quei sassi che impediscono all’acqua viva di sgorgare, è meno difficile dare un saluto non di circostanza a don Giovanni. Un parroco diceva: «Il sacerdote non può fare altro che donare Gesù», e solo per questo, per noi, va onorato e ringraziato. Ricordiamo don Giovanni che libero dalle preoccupazioni e impegni legati alla guida parrocchiale ha svolto nella nostra comunità il servizio di collaborazione con pacato e sereno distacco. Puntuale e preciso, con buon anticipo si preparava alla celebrazione quotidiana della Messa, pregando davanti al Santissimo, preghiera che veniva interrotta soltanto da non rare confessioni. Curava meticolosamente la liturgia, con passione ha tenuto sul tema fruttuosi incontri di formazione con i fedeli. Nello spezzare la Parola era diretto, talvolta severo, come un padre che rifacendosi alla propria esperienza vuole evitare sbagli e illusioni. Non aveva timore di parlare del suo passato, ne faceva tesoro da donare a chi «aveva orecchi da intendere», rivolgendosi sempre a un «noi». Desideroso di farci crescere nella fede vera, di dare quel cibo che forse anche lui «tardi aveva conosciuto», cercava di coinvolgere l’assemblea alla partecipazione attiva, esortando alla preghiera e a evitare i vari devozionismi. Capace di attualizzare la Parola, non mancava di sollecitarci a renderla feconda nella vita di tutti i giorni. Lo ricordiamo anche solo, forse un po’ malinconico, come portasse dentro un peso – forse la malattia, forse la nostalgia per l’attività di missionario… non sappiamo –. Era pronto al confronto, ad aprirsi serenamente per una piccola attenzione, un sorriso, una parola buona o alla vista dei bambini. La comunità parrocchiale di San Paolo lo ricorda già come vice parroco, servizio che ha svolto per un anno. Era sempre molto disponibile, la domenica in particolare ci incontrava e accoglievaall’ingresso della Chiesa. In un periodo molto difficile per la vita della comunità lo ricordiamo per la sua disponibilità, per le visite agli ammalati, per la sua attenzione al prossimo, anche solo il fermarsi per chiacchierare, oltre che per la considerazione che aveva dei nostri gruppi e movimenti ecclesiali. Ci parlava dell’esperienza missionaria in Africa, e noi per quanto possibile lo aiutavamo, gli andavamo incontro. Al suo ritorno tra noi, in quest’ultimo anno, abbiamo trovato una persona molto sofferente. Era tornato perché qualcuno aveva chiesto di celebrare delle Messe per alcuni defunti in parrocchia, sentendosi accolto e non avendo altre responsabilità, aveva domandato al parroco di poter restare. Vedeva che avevamo bisogno di lui e che la parrocchia necessitava di un aiuto, ci ha spronato ad una celebrazione più corretta della liturgia – tenendo come a San Francesco degli incontri di formazione – ci riprendeva e rimproverava se necessario. Don Riccardo Fenudi descrive una persona di molta carità, distaccato dai beni materiali, e si lascia andare a una confidenza. Nel suo ministero era capitato recentemente a don Giovanni di incontrare una persona che aveva necessità di cure mediche fuori dall’Italia, ma non poteva permettersele perché troppo costose, lui l’ha aiutata grazie a una somma di cui aveva disponibilità in quel periodo e lo fece nella maniera più disinteressata, anche perché non aveva con essa vincoli di amicizia o di parentela. Don Giovanni era una persona molto delicata, discreta, rispettosa delle decisioni anche se si potevano avere modi diversi di vedere le attività pastorali. Era obbediente alla responsabilità del parroco anche nei suoi confronti, oltre che agli incontri di formazione si era dedicato a San Francesco a seguire il gruppo dell’Apostolato della preghiera. Una delle sue sofferenze era il fatto che non aveva una parrocchia, si sentiva ancora forte – e lo era – per poter fare il parroco. Dopo la malattia non era stato reinserito pienamente nelle attività pastorali, ha sofferto molto il fatto di non avere incarichi, lo dimostrava, e lo diceva. Oggi, nel ringraziarlo ancora per la sua presenza tra noi, possiamo dire che «ci ha donato Gesù». Lo salutiamo come lui ogni sera quando andava via dalla chiesa: «Menzus a crasa! ». Che domani sia un giorno migliore, e Dio sa di questi tempi quanto bisogno abbiamo di giorni sereni per essere non i migliori ma migliori tutti. Grazie don Giovanni. © riproduzione riservata