11 Giugno 2022
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Per una felice coincidenza la prima Lettera alla Diocesi di Nuoro, da parte del vescovo Antonello, ricade a ridosso della beatificazione di padre Giovanni Antonio Solinas. Evento da tempo atteso, sia da noi che nella Diocesi di Oran in Argentina, dove il gesuita olianese è stato ucciso il 27 ottobre 1683. Occasione per meditare «sul valore e sulle conseguenze della fede e del suo annuncio, oltre a interrogarci sulle sue esigenze in ogni tempo con uno sguardo senza confini».
Il martirio è una categoria ormai scomparsa dal nostro modo di vivere e sentire. Creiamo volentieri miti ed eroi, argonauti dell’impossibile e tante leggende, ma ci sfugge cosa significhi, nel concreto, dare la vita per l’opera di un Altro. Attaccati al nostro io espanso, unico criterio di valutazione, moltiplichiamo le divisioni e ignoriamo la bellezza del dono. Non ci poniamo la più elementare delle domande: per che cosa vale la pena vivere? Per chi e per che cosa sono disposto a morire? Nella Lettera il vescovo Antonello ci ricorda: «I martiri sono senza tempo e la Chiesa non dimentica coloro che, fin dai primi tempi del cristianesimo, non esitarono a perdere la vita per essere e rimanere cristiani… Fare memoria del martirio di padre Solinas e dei suoi compagni è un atto di verità storica, ma anche di giustizia umana, elementi che ci consentono di riconoscere nel loro sacrificio un atto di fede». Ci aiuta a capire che di Dio si può parlare ma soprattutto vivere.
I martiri sono morti, si sono consumati, per amore. Hanno esalato l’ultimo respiro non angosciati dall’ingiustizia subita ma contenti di poter donare se stessi. Erano cattolici nel cuore non per appartenenza geopolitica.
Noi siamo stati creati, sin dal nostro concepimento, ad immagine e somiglianza di Dio, come rapporto e desiderio di infinito. E tutti ci rendiamo conto che con le nostre mani non possiamo dare compimento a questo desiderio. I martiri sono testimoni di una pienezza di vita, di una letizia che solo la grazia e la carità dello Spirito Santo può donare. Non hanno cercato la morte ed il supplizio inflittogli: lo hanno accettato come misterioso abbraccio con Lui che della vita è sorgente e sostanza. Il martirio delle idee viene prima di quello del corpo. Forse nessuno di noi sarà chiamato a dare la vita versando il proprio sangue perché crede in Dio, ma sicuramente siamo chiamati – grazie all’esempio dei nostri martiri – a pagare il prezzo del nostro essere cristiani, con le convinzioni e gli ideali che ne derivano. Il mondo non può accettare che vi sia altro criterio del vivere e pensare diverso dal suo. Ed ecco perché la Chiesa sarà sempre presenza nel mondo senza per questo esserne espressione servile. Solov’ev, nel suo Il dialogo dell’Anticristo, ci offre un’immagine drammatica ma veritiera di questo: «L’imperatore si rivolse a loro dicendo: “Strani uomini… Ditemelo dunque voi stessi, o cristiani abbandonati dalla maggioranza dei vostri fratelli e capi, condannati dal sentimento popolare: che cosa avete di più caro nel cristianesimo?”. Allora si alzò in piedi lo starets Giovanni e rispose con dolcezza: “Grande sovrano! Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui Stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità. Da te, o sovrano, noi siamo pronti a ricevere ogni bene, ma soltanto se nella tua mano generosa noi possiamo riconoscere la santa mano di Cristo”». Padre Giovanni Antonio, don Pietro Ortiz e compagni sono testimoni ancora attuali di questo immenso amore che chi li ha uccisi aveva in odio.