21 Dicembre 2020
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La burocrazia è più insidiosa del virus e da sempre rappresenta un groviglio inestricabile che riguarda tutto e tutti, l’anaconda. Parlarne può sembrare inutile e futile almeno non si conservi una piccola fiammella di speranza nel cambiare qualcosa del così è sempre stato. L’origine moderna di questo termine è una sommatoria del francese, bureau (“ufficio”) e del greco krátos (“potere”). Si dice sia stato l’Imperatore Claudio, nel I secolo dopo Cristo, dell’antica Roma, a promuovere un’organizzazione gestione della vita sociale ed economica, secondo criteri di razionalità, imparzialità ed impersonalità (ultimo connotato col quale oggi vai ad infrangerti). Nel corso dei secoli, la burocrazia è diventata un vero e proprio potere, in un susseguirsi di intrecci e complicità di cui la politica è artefice e vittima. Ciò che era nato per semplificare le relazioni tra cittadini e Stato è diventato un potere a sé stante, annidato in ogni ganglio della società. Il burocrate, oggi, può giocare alle tre carte nell’interpretare (dopo averle suggerite) normative riguardanti tutto, dalla tua nascita, alla morte ed anche dopo; la vita pubblica e privata; gli appalti, le calamità, il rilascio di autorizzazioni, permessi, concessioni. Il burocrate, specie il boiardo di Stato, ha più potere di un qualunque politico passato al vaglio di elezioni popolari, a partire da un comune a finire col senato ed anche più sopra. Lui è il Proteo dalle mille forme, Camaleonte dagli infiniti linguaggi in quanto conosce il sistema e le norme, i derivati e gli affini. Lui ha un ruolo fisso, a prova di bomba atomica, mentre il politico è soggetto al precario consenso elettorale. È lui a condizionare, dettare legge, guardare il politico e tutti gli altri dall’alto in basso. Anno dopo anno, i burocrati moltiplicano sé stessi (ed i loro discendenti) con stipendi, prebende, premi di produzione, benefit annessi e connessi. Il peggio è l’aver trasmesso, dal vertice al basso, una mentalità, un modus vivendi ed operandi, che permeano anche il bidello, l’usciere o “l’umile affrancatore delle poste nuoresi” (per dirla con le parole inopportune dell’allora onorevole ed assessore regionale dott. Bachisio Latte). Compresi i sindacati loro protettori, occulti o palesi, infettati dalla stessa mentalità. Risultato finale: la spesa pubblica schizzata alle stelle; assunzioni di massa e clientelari; cittadini costretti ad interminabili file per una qualsiasi autorizzazione, rinviati da un ufficio all’altro, da innumerevoli impiegati e funzionari. Tutti depositari del sapere e del fare ma non in grado di risolverti il quesito se una tua cosa così dipenda, ad esempio, dall’Inail o dall’Ispettorato del Lavoro, oppure da una delle centinaia di sigle assurde, variopinte. Tutti ti rimandano, specie in questo periodo di Covid e smart working (parola esemplare della nostra linguistica identità e dignità) a numeri telefonici verdi dai quali, dopo giorni e giorni di chiamate, nessuno ti risponde. Nessuno. In questo focus del nostro settimanale vorremmo raccontare alcuni esempi che riguardano il vivere quotidiano di tutti i cittadini, contagiati o meno, alle prese con Poste Italiane, banche varie, Abbanoa, Comune di Nuoro, Palazzo di Giustizia e altro.
Il racconto di sei storie di ordinaria burocrazia.
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