28 Maggio 2022
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“Credo che ci sarà sempre bisogno di informazioni affidabili e di un giornalismo di qualità”, scrive Jill Abramson, editorialista del Guardian ed ex direttrice del New York Times nel suo libro “Mercanti di verità”, nel quale descrive la rivoluzione che negli ultimi vent’anni ha scosso e radicalmente modificato il mondo del giornalismo e dell’informazione.
Dal 2004 anno di nascita del Facebbok e dei social media si è aperta una nuova Era nella comunicazione, che ha introdotto novità talmente decisive nel modo di comunicare capaci di cambiare il nostro modo di vivere e quindi di informarci.
La disintermediazione ha colpito duramente il sistema basato sulla sequenza “fonte, medium, utenza”, consentendo alle fonti di scavalcare il medium e di rivolgersi direttamente all’utente. In altre parole è stato posto in discussione il ruolo stesso del giornalista nella sua funzione di selezione e verifica delle fonti, della loro interpretazione e traduzione del linguaggio per renderlo accessibile a lettori, telespettatori, radioascoltatori o naviganti su Internet. Allo stesso tempo le fonti si sono moltiplicate a tal punto che è diventato difficile, se non impossibile, valutarne l’affidabilità.
Il risultato è stato il dilagare delle “fake news” o delle “post verità”, informazione che senza basarsi su fatti verificati tende ad essere accettata come veritiera, influenzando l’opinione pubblica.
La cronaca riferisce di scelte politiche importanti influenzate in maniera determinante dalle “post verità”, capaci di condizionare le scelte di milioni di persone prima di essere smascherate.
Il 22 novembre 2017 Buzzfeed ha dedicato un’inchiesta ad un network di siti italiani di news, accusati dal sito americano di diffondere articoli “contro gli immigrati”, carichi di “retorica nazionalistica”, e capaci di raggiungere un pubblico su Facebook di circa 25 milioni di persone.
Nel 2017 Jenna Abrams era un nome fra i più conosciuti in rete negli Stati Uniti. Alimentava polemiche che venivano riprese dai maggiori quotidiani, polemizzava con politici di primo piano, con ambasciatori, big della cultura. E sosteneva la campagna elettorale di Donald Trump. Ma, dopo le elezioni si è scoperto che non esisteva. I suoi tweet partivano da S. Pietroburgo ed erano generati dalla “Internet Research Agency”, lo strumento utilizzato dai russi per inquinare la campagna elettorale negli Usa e per accentuare i conflitti interni in molti altri paesi. E stato dimostrato che campagne di post verità hanno influito non poco sulla Brexit e su altre scelte politiche determinanti, anche in Italia. Basti pensare alla dolorosa pandemia provocata dal Covid 19 con le opinioni degli esperti equiparate a quelle dei “terrapiattisti” di turno. In queste settimane caratterizzate dalla tragica e sanguinosa invasione dell’Ucraina da parte della Russia, i social hanno ripreso a martellare l’opinione pubblica introducendo false verità che stanno portando a divisioni importanti le cui conseguenze non sono al momento valutabili nella loro pericolosità.
Ma nonostante la consapevolezza che il pericolo derivante da una comunicazione poco affidabile è reale, l’informazione certificata in genere sembra perdere terreno. Il crollo delle copie di vendita dei giornali non può essere attribuito esclusivamente a fattori di mercato editoriale.
L’aggressività di alcuni titoli, il sostegno a posizioni disumane, l’attacco insensato ai più deboli, gli insulti a chi non la pensa come noi non possono non aprire una riflessione collettiva sull’odio sociale e il livello di inciviltà che va diffondendosi nel nostro Paese.
Nel messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali dello scorso anno Papa Francesco invitava i giornalisti ad “andare e vedere” per scoprire la realtà e poterla raccontare a partire dall’esperienza degli eventi e dall’incontro con le persone. Proseguendo in questa linea, il messaggio di quest’anno (leggi il messaggio del Papa) ha sottolineato un altro verbo: “ascoltare”, “decisivo nella grammatica della comunicazione e condizione di un autentico dialogo”. Ascoltare, dunque, con l’orecchio del cuore, come dice il Papa, è la strada da seguire. E questo vale per tutti coloro che si propongono di informare, dai grandi giornali alla stampa locale e diocesana, se vorranno ancora avere un ruolo importante nella formazione della grande platea alla quale si rivolgono.
Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Sardegna