9 Aprile 2021
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Nuoro - Ci sono persone davanti alle quali bisognerebbe semplicemente chinarsi nel riconoscere la straordinaria forza della loro testimonianza di vita, la caparbietà e la forza con le quali perseguono la verità, la compostezza con cui affrontano il dolore. Una di queste è Luchino Chessa, che abbiamo incontrato a Nuoro in occasione della presentazione del volume Il caso Moby Prince. Figlio di Ugo Chessa, Luchino è presidente dell’Associazione 10 aprile – familiari delle vittime Moby Prince e non ha mai smesso di lottare per restituire dignità a suo padre e dare finalmente nomi e cognomi ai reali responsabili del disastro.
Dottor Chessa, a distanza di tanti anni quale sentimento prevale in lei, il dolore o la rabbia?
«La rabbia, ancora. È stato sempre il sentimento che più ci ha accompagnati ancor di più adesso che stanno uscendo fuori una serie di verità tra cui l’omissione di soccorso, il fatto che i passeggeri sono stati lasciati morire sul traghetto, sono stati lasciati ore in attesa di soccorsi che non sono mai arrivati, per cui ancora di più vogliamo avere giustizia e vorremo sapere quali sono i reali colpevoli e quali persone hanno agito per lavorare in questo senso, in questa omissione».
Come sentite le istituzioni? Vi siete sentiti traditi dallo Stato?
«Lo Stato ci ha tradito inizialmente, ci ha lasciato soli, lo Stato stesso ha lavorato per le coperture. Si è riabilitato da poco con l’ultima Commissione parlamentare d’inchiesta che in effetti ha fatto un buon alvoro e grazie a quello oggi stiamo cominciando a riaprire il caso nell’ambito penale».
Avete qualche speranza date le conclusioni della Commissione?
«Abbiamo grosse speranze che le cose possano andare avanti, ci sono due fascicoli aperti a Roma e a Livorno, il primo per eventuali reati che ci possono essere stati nella udizioni di una serie di personaggi mentre a Livorno su eventuli reati di dolo, dolo eventuale che potrebbe interessare l’omissione di soccorso, nel momento che non si fece nulla provocando un omicidio plurimo. Gli scenari sono quelli di un sistema che ha nascosto, ha coperto e che ha dato le responsabilità inizialmente al comandante Ugo Chessa, per capire il perché bisogna ancora lavorarci e il libro dà un’idea, una traccia in questo senso».
È bene che si tenga alta l’attenzione, che si continui a parlare.
«Sì, ancora di più adesso».
Come familiari marciate uniti?
«Stiamo lavorando insieme e lavoreremo insieme anche per l’apertura dei fascicoli e gli eventuali suggerimenti che daremo, anche come memoria, a nome delle associazioni».