19 Aprile 2021
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Di fronte all’aumento dei contagi e all’inevitabile classificazione in “zona rossa” per la Sardegna, ad un anno di distanza dall’esordio dell’epidemia, e a neanche un mese in cui si era in “zona bianca”, sono comprensibili rabbia, frustrazione e malcontento. «La speranza sono i vaccini», «occorre fare presto…», «la priorità del governo è il piano vaccinazioni…», ecc. sono il mantra recitato più volte al giorno dai giornali, dalle radio, dalla tv, dalla politica e dalle istituzioni. Auspici e propositi che si scontrano con la carenza della materia prima (i vaccini) e con una manifesta incapacità organizzativa. «Abbiamo i fucili ma non le munizioni», ha detto l’assessore alla sanità Mario Nieddu. Fino al giorno prima era il contrario. In queste settimane, in Sardegna e in tutt’Italia, ne sono successe di tutti colori, in un generalizzato clima di confusione, sospetti e diffidenze reciproche. La somministrazione, che avrebbe dovuto seguire delle regole ben precise, avviene in maniera molto difforme dalle aspettative. La corsa al vaccino ha innescato conflitti spietati. All’inizio vi è stato un tira e molla indecente sulle categorie da vaccinare per prime, poi sono seguiti continui cambiamenti delle disposizioni, carenze nell’informazione, scontri tra corporazioni. Una palude con dentro persone a rischio, con patologie o gravi disabilità, dimenticate da una burocrazia contorta. Occasione ghiotta per i furbetti nel saltare la fila. Oltre al danno la beffa: chi è arrivato alla dose utilizzando scorciatoie, amicizie, complicità, ha poi, spesso, vaneggiato sui social vantandosi di quello di cui dovrebbe vergognarsi. Che tristezza vedere i loro selfie con l’ago nel braccio ed il volto sorridente. Sorrisi che causano lacrime e rabbia in chi è inchiodato a casa e aspetta che qualche samaritano vada a vaccinarlo. Purtroppo con una siringa non si può iniettare il rispetto delle regole e del prossimo. Vaccinare i più vulnerabili è una scelta di civiltà e di tutela della salute di tutti, perché più un soggetto è fragile ed esposto all’infezione e più concorre (probabilità) alla diffusione del virus. La pandemia ha fatto emergere tutte le contraddizioni personali e sociali, politiche ed istituzionali, economiche e culturali, presenti in modo palese o latente anche prima. Il Covid non ha creato queste contraddizioni, ha semplicemente scoperchiato il vaso di Pandora. Pensavamo di essere sani in un mondo malato e ci siamo ritrovati infetti da tanti malanni. Se all’inizio dell’epidemia, l’anno scorso, l’Italia si presentava come un paese solidale ed ottimista (“Insieme ce la faremo”, era lo slogan di allora), oggi ha preso piede il disincanto. Si è capito anche questo: i politici sono ottimisti quando stanno al governo e pessimisti quando sono all’opposizione; tra il personale sanitario non ci sono solo eroi ma pure grandi opportunisti; chi aveva molti soldi li ha moltiplicati, chi ne aveva pochi li ha persi, chi non ne aveva continua a non averne; i grandi mezzi di informazione allarmano o tranquillizzano in base agli imput degli azionisti di riferimento; sta prevalendo la logica del si salvi chi può. In questo clima è utile rimeditare le parole di papa Francesco: «La misericordia non abbandona chi rimane indietro. Ora, mentre pensiamo a una lenta e faticosa ripresa dalla pandemia, si insinua proprio questo pericolo: dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente. Si trasmette a partire dall’idea che la vita migliora se va meglio a me, che tutto andrà bene se andrà bene per me». © riproduzione riservata