22 Giugno 2023
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Da sempre, ogni Potere terreno ha l’intrinseca pretesa di riscrivere il linguaggio, le parole, l’idioma del popolo. «La parola è la chiave fatale che apre ogni porta» diceva don Milani. È vero. Se quando a mio padre, intelligente analfabeta, mai andato a scuola, morendo tra le mie braccia, gli avessi detto “papà”, “babbo”, genitore B, non avrebbe capito, non ci saremmo capiti, e anzi mi avrebbe redarguito in malo modo. Per lui il linguaggio era identità, storia famigliare, infima ed intima, e quindi lo dovevo chiamare per sempre “babbu”. E così ho fatto fino all’ultimo, interminabile abbraccio.
«La distruzione delle parole è una cosa molto bella!», esclamava Syme, nel romanzo di George Orwell, 1984. Ogni Potere ha manipolato il linguaggio per asservire a se stesso la realtà. Ignazio Buttitta diceva che un popolo «diventa poviru e servu/ quannu i paroli non figghianu paroli/ e si mancianu tra d’iddi». Remundu Piras esortava: «O sardu, si ses sardu e si ses bonu/ sempre sa limba tua apas presente: no sias che isciau ubbidiente/ faeddende sa limba de su padronu». La parola è comunque l’altra faccia del potere. Ma la realtà è più testarda delle parole che inventiamo e prima o poi lo capiremo. Sempre dovremmo capirlo.
Alcuni esempi. L’aborto si chiama “ivg”, ovvero interruzione volontaria della gravidanza; gli omosessuali si tramutano in “gay”, cioè gaudenti; l’utero in affitto diventa GPA (gestazione per altri); anziché maschio/femmina abbiamo cinquanta gender fluid, cioè senza un genere definito, anche per cani e gatti. Tralascio l’abuso di parole inglesi, che mi fanno fare brutte figure in ogni rassegna stampa di Radio Barbagia ed in ogni dove: premier, leader, leadership, governance, new economy, job act, spread, bound, spending review, rating, default, welfare, road map, election day, team, staff, authority, privacy, know-how, deadline, devolution, new entry, outsider, meeting…
Il linguaggio è il principale strumento di interazione tra gli esseri umani e quindi, potenzialmente, anche di manipolazione. Grazie a un abile uso del linguaggio è possibile influenzare le decisioni di chi ci circonda. Questo avviene nel campo della pubblicità, dell’informazione e della politica così come nelle nostre relazioni quotidiane in famiglia, nel lavoro e con gli amici. Più che alla ragione, parole, grammatica e sintassi sono rivolte alle emozioni ed agli istinti. Mirarono non a far pensare ma a manipolare l’umano.
Da qui tante parole il cui significato è travisato, improprio, spesso insensato. Una realtà confusa, liquida, indistinta, genera un pensiero confuso, che, a sua volta, genera un linguaggio altrettanto confuso. Le parole tendono a perdere il loro significato originario e vengono usate in maniera impropria. Capita spesso che le cose non vengano più chiamate col loro vero nome. Questo relativismo, questa mancanza di connessione tra linguaggio e realtà, permette di manipolare la realtà stessa e di incantare gli interlocutori. Riappropriarsi del senso delle parole è una rivoluzione da fare.