Mordere il cielo
di Francesco Mariani

24 Luglio 2024

4' di lettura

Sono da sempre temi a noi particolarmente cari: educazione, scuola, famiglia. Di questo ragiona lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet nel suo ultimo libro Mordere il cielo. Una lettura davvero interessante. Parte dall’analisi disincantata dell’oggi in cui gli adulti sono sempre più assenti nell’educazione dei figli, da loro spesso comodamente parcheggiati davanti alla tv o ai videogiochi. «A un papà e a una mamma – dice l’autore – mi permetto di consigliare una cosa soltanto: abbiate cura di impazzire per un abbraccio dei vostri figli. Fatelo tra voi, con loro, ma non scordatelo: è così che si salva il cervello, e anche l’esistenza».

Alla fine dei conti, l’educazione è fatta di cose e gesti semplici, di tempo da condividere con e per i figli. I genitori moderni sono invece spesso infantili, immaturi, immersi nel postare selfie o di organizzare ogni attività di doposcuola per i loro figli, pur di non averli tra i piedi. L’utilizzo spasmodico dei social media e dei dispositivi tecnologici, imploso negli anni di pandemia, «atrofizza il cervello e influisce drasticamente sulla forma mentis dei giovani». Ne consegue un calo delle capacità di attenzione, di lettura, di apprendimento e di memoria. Cose che tocchiamo con mano ogni giorno. Ne consegue che i ragazzi non sono più abituati a ragionare con la propria testa, liberi, ma sono suggestionati e condizionati nelle loro scelte dagli influencer (nuova figura popolare creata dal mercato consumistico e dal vezzo di apparire senza essere). 

Le cronache di oggi raccontano drammatiche vite di ragazzi annoiati, rinchiusi in un pozzo artesiano esistenziale. Portano a scuola droghe ed alcool, bullizzano i loro coetanei e umiliano gli insegnanti e gli adulti in genere, non riconoscendone la minima autorevolezza. «Nell’epoca delle passioni tristi», come la definiva Baruch Spinoza (non confondetelo con due miei compagni di scuola), della “malinconia” (Censis), mancano nei giovani punti fermi di riferimento, e spazio per silenzi emotivi, lacrime e sorrisi stupiti. Si aggiunga a questo il disfacimento dei legami affettivi in famiglia, scuola e quartiere: cresce un senso di abbandono e disorientamento che spesso trova sfogo in rabbia ed irrequietezza.

Crepet suggerisce di incanalare la rabbia proponendo ai bambini e agli adolescenti non il soliloquio di un telefonino, ma il palcoscenico di un teatro, di un’arena dove trasformare in arte le passioni, le ferite e i tormenti interiori. La famiglia deve tornare ad essere il luogo dell’ascolto e della relazione primigenia, da cui nasce tutto il resto. In un mondo che ipocritamente ci pretende di essere sempre perfetti è una fortuna essere malinconici, un’arte essere fragili, perché è dalle vite contorte degli “scarti umani” che si impara il mistero ed il mestiere del vivere. Viene in mente l’ultimo rapporto Censis dove si legge che negli italiani prevarrebbe «la voglia di essere se stessi, con i propri limiti, ispirandosi a una filosofia di vita molto semplice: lasciatemi vivere in pace nei miei attuali confini soggettivi». 

In conclusione, Crepet ribadisce quanto scritto nel suo precedente saggio Prendetevi la luna: esorta i giovani ad alzare lo sguardo verso l’alto, alla ricerca dell’oltre e della luce: in fondo, «tutti dovremmo farlo per capire noi stessi e un po’ della vita anche, e soprattutto, quando si fa buio». Un buon consiglio per il nostro periodo di vacanze.

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