Giuseppe Arippa
Non smettere di cercare Dio, non aver paura della felicità
Giuseppe Arippa, Agostiniano nuorese, sarà ordinato il 31 ottobre. Il racconto della sua vocazione
di Franco Colomo

31 Ottobre 2022

9' di lettura

Tolentino - Lunedì 31 ottobre nella Basilica di San Nicola in Tolentino, padre Giuseppe Arippa, religioso Agostiniano originario di Nuoro, sarà ordinato Sacerdote per l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria di monsignor Nazareno Marconi, Vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia.
Padre Giuseppe celebrerà la sua prima messa martedì 1 novembre presso la Basilica di San Nicola. Alla vigilia di questo evento di grazia lo abbiamo raggiunto per poter condividere la sua gioia e poter raccogliere la sua bella testimonianza. Già da oggi sappiamo che il religioso sarà in città, nella parrocchia di Nostra Signora delle Grazie, nei giorni a ridosso della festa per salutare la sua comunità.

Padre Giuseppe innanzitutto come stai? Quale sentimento prevale in questo momento?
«Alla vigilia di un’Ordinazione Presbiterale credo che due siano i principali sentimenti che possono albergare nel cuore di un uomo. Se si considera solo l’aspetto umano, forse la “paura” potrebbe essere il primo sentimento a trovare maggiore spazio nel cuore. Davanti al Signore che “chiama” a una realtà esistenziale così grande e importante, lo stravolgimento interiore potrebbe bloccare e, oserei dire, far dubitare di “stare a sbagliare tutto”! Ma poi, scendendo un po’ più in profondità, dunque nello spirito, quella “voce interiore” che ogni giorno accompagna chi percorre tale cammino, dona anche la Grazia della “pace” e dell’“abbandono fiducioso”. È il Signore che posa lo sguardo su ciascuno di noi, e quando chiama, è sempre Lui a donare la Fede necessaria per imparare, seppur gradualmente, a “fidarsi” sempre un po’ più di Lui e un po’ meno di se stessi. Quando allora la fiducia è su un Dio che ti dice ogni giorno che sei “Amato”, “Benedetto” e “Scelto”, crollano così tutte le incertezze e le paure, per lasciare spazio ad una “risposta” coraggiosa che non sei tu a doverti guadagnare».

Come è nata la tua vocazione? Quale è stato il tuo percorso di formazione in tutti questi anni?
«Credo che sin da piccolo, anche grazie alla fede testimoniata per esempio da mia nonna, il Signore abbia posato lo sguardo su di me. Poi si cresce, magari si fanno anche i consueti cammini di iniziazione cristiana in parrocchia per ricevere i Sacramenti, e ad un certo punto, come la maggior parte dei ragazzi fa anche oggi, ci si “allontana”. Così è stato per me e infatti, dopo aver ricevuto la Cresima, ho scelto di percorrere la mia vita senza considerare minimamente il Signore. Per tanti anni ho frequentato di tutto fuorché parrocchie, Monasteri e Conventi! Sono sempre più convinto che, finché non si incontra personalmente il Signore Gesù, nessun cammino cristiano può essere considerato autentico, libero e sincero. Io Dio l’ho incontrato in un momento di dolore, dovuto alla morte prematura di mia mamma prima e, dopo soli due anni, di mio padre. In quel momento ho ricevuto due proposte: la prima, nata da qualche suggerimento di chi pensava di potermi far risolvere il dolore “andando a bere due birrette”. La seconda, una proposta ricevuta dal mio parroco, il quale mi è stato semplicemente vicino e con il quale ho potuto condividere ciò che provavo interiormente in quel momento di sofferenza. Egli mi invitò infatti a partecipare ad una settimana di spiritualità Agostiniana aperta a tutti, in un Eremo a Lecceto, vicino a Siena. Lì il Signore, il quale non mi ha tolto certamente il dolore, mi ha aiutato a trovare un “Senso” più profondo anche circa la realtà della morte, e così sono nate in me alcune domande un po’ più mature che mi hanno rimandato ad un “Oltre”. Il riavvicinarmi alla Chiesa, ascoltare la Parola di Dio e partecipare attivamente alla vita comunitaria della parrocchia delle Grazie, alla quale sono molto debitore, mi ha permesso di mettermi in ascolto di me stesso. Così ho scoperto che c’era una “voce” che mi “chiamava a qualcosa di grande”, che mi invitava a fidarmi e a continuare il cammino di discernimento. Poi le prime esperienze in Convento, a Tolentino, nelle Marche, comunità alla quale ora appartengo. Qui mi sono reso conto che i Frati sono alla fine persone “normali” ma con una “Gioia” speciale nel cuore che proviene da Dio, e che io, in pienezza, forse sino a quel momento non avevo mai vissuto. Il cammino di formazione è proseguito con due anni pre-noviziato: sono stato a Palermo, a Pavia per l’anno del noviziato e a Viterbo per gli studi di Filosofia e di Teologia. Quest’anno ho terminato la formazione culturale a Roma, dove presso la Pontificia Università Salesiana ho conseguito la Licenza in Teologia Spirituale, con indirizzo Formazione dei Formatori e degli Animatori Vocazionali».

In che modo il carisma ti ha in qualche modo “plasmato”?
«Il carisma di un Ordine Religioso, come nel mio caso quello Agostiniano, non si vivrà mai in pienezza. Parliamo di un ideale alto e credo che sia necessaria tutta una vita per assaporarne la bellezza e la ricchezza. All’inizio della Regola che ha scritto per i suoi monaci, Agostino pone la motivazione della Vita Religiosa in questi termini: “Il motivo principale per cui vi siete insieme riuniti è quello di vivere concordi nella casa, protesi verso Dio, nell’unità della mente e del cuore”. Sto iniziando a capire che si sta dunque insieme non per costituire una specie di S.p.a., non per vivere in un’allegra brigata di amici, non per unire le forze dei singoli ed essere più efficienti, non per evadere dalle responsabilità della vita, ma per cercare Dio insieme e dedicare la propria esistenza agli altri. Mi pacerebbe lasciarmi plasmare dal Signore, per mettere la vita al servizio del suo popolo. La Vita Consacrata è un dono dato dallo Spirito alla Chiesa per il bene di tutti. Insieme, concordemente, nella fraternità e nell’amicizia spirituale: il culto dell’amicizia e il senso della comunione ecclesiale, sono una tipica caratteristica di Agostino, e come si può ben immaginare, tale ideale, parla alle famiglie, alla scuola, al mondo del lavoro, alla politica. Insomma, una bella “sfida di Senso” per tutti e non solo per i Frati!»

Cosa ti resta nel cuore della tua vita in Sardegna in termini di esperienze, di persone…
«Amo la Sardegna, amo la mia terra, ma soprattutto amo il cuore di tante persone che per me sono state e sono tutt’ora esempio di Vita! A Nuoro, in particolar modo, ho le mie radici e queste il Signore non te le toglie, non sarebbe umano. Io stesso non riuscirei a rinnegarle! Torno ogni anno in famiglia, ho una sorella speciale che mi segue e accompagna in tutti i miei passi, ma anche parenti che sento vicini. Amici, luoghi cari in cui ho vissuto. Spesso mi manca il mare della Sardegna, i profumi, i colori di alcuni luoghi, unici direi. Questo è per me motivo di gratitudine e di preghiera. Sono certo che le anime, così come i posti fisici, se vissuti e uniti veramente in Cristo, possono rimanere vicini in qualsiasi parte del mondo ci si trovi».

La vocazione ha ancora senso per un giovane oggi? Cosa puoi dire ai giovani in ricerca, inquieti, che non trovano una risposta alle loro aspettative o ai loro desideri?
«Agostino ricercò intensamente Dio: una volta trovatolo, si dedicò totalmente a Lui in comunione con i fratelli. La ricerca di Dio è il motivo guida della spiritualità Agostiniana. Umano e spirituale insieme. E non interessa soltanto chi è in cerca della verità, chi ancora non ha la fede, chi ancora non ha trovato in Cristo la Verità della sua esistenza. Oggi invece ci cibiamo, esteriormente e interiormente, di tante cose che danno morte e non Vita Eterna.
Trovare Dio è trovare la felicità, per questo si dovrebbe vivere e lavorare, per questo si dovrebbe spendere la Vita. “Ci hai fatto per Te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”, scrive Agostino, ma spesso noi abbiamo paura della Felicità. È una contraddizione, ma è così. Agostino si rivolge anche all’uomo di oggi, a noi alienati come siamo da noi stessi, dalla nostra dignità, in ricerca affannosa, anche se disordinata, della nostra identità, frastornati dalle tante cose che ci circondano e ci sollecitano, illusi di riempire con esse il vuoto interiore, che è il vuoto di Dio.
Solo quando ritroveremo noi stessi, quando riacquisteremo la nostra umanità perduta, liberandola dalla schiavitù delle cose, potremo ritrovare anche Dio e quindi la felicità. Ricerca di Dio attraverso e insieme ai fratelli: sono queste le vie della speranza che Agostino addita all’uomo di oggi, soprattutto ai giovani! Stare a seguire il Signore non è certamente qualcosa di facile, ma non è neanche tempo perso! Ciò però che è più liberante e bello, è che la sua Fedeltà non viene mai meno!».

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