O centro delle mie brame chi è il più bello del reame?
di Francesco Mariani

3 Luglio 2022

4' di lettura

Prima le scissioni nel centro-sinistra, poi nel centro-destra, ora nei pentastellati, nella mappa politica fanno registrare una corsa verso il centro. Se ne parla da decenni ed ora il futurista Luigi Di Maio riaccende sogni e speranze. Ma anche stavolta “il centro di gravità permanente” vagheggiato da Franco Battiato è destinato a restare una chimera, un’araba fenice. Parlano i fatti.

Innanzitutto manca il collante di un progetto e di una proposta politica. La Dc aveva le sue correnti e ramificazioni che erano declinazioni diverse di una stessa cultura ed ossatura politica. Era nata tra la gente (come il Pci) e le divergenze interne facevano comunque riferimento a quel popolo ben preciso. Qui si vuole invece creare un centro che nascerebbe dalla sommatoria di infiniti atolli intenti a sottolineare ciò che li divide e non a declinare quello che potrebbe unirli.

L’elenco delle formazioni che si collocano nell’arcipelago centrista, e ne rivendicano il rafforzamento, non è possibile da riassumere. Ne citiamo solo alcuni: l’Udc, Italia viva, Azione, Coraggio Italia, Cambiamo!, Identità e azione, Italia al centro, Noi di centro, Noi campani, l’Italia c’è, Noi con l’Italia, Rinascimento, +Europa, Centro democratico, Fare!, e qui ci fermiamo perché si è già perso il conto ed è venuto il capogiro. Da notare il surplus di “Noi” e “Italia”, manca pure il minimo di fantasia. Ebbene, dietro ognuna di queste sigle c’è un personaggio, un capo, un capetto con un unico pensiero assillante e dominante: restare sulla scena, conservare la poltroncina, non perdere gli emolumenti e privilegi. In questo arcipelago manca il riconoscimento di un primato per un federatore, per un partito, per un personaggio. Se anche alleati, sono chentu concas e chentu berritas. Potrebbero per assurdo vincere le elezioni ma non certo governare insieme. Più è largo il campo è più è impossibile tenerlo unito. Un po’ come la sinistra francese che ha vinto le elezioni legislative ma in parlamento si è subito presentata come una sommatoria di gruppi con un unico collante: votare contro Macron. Non che l’Ulivo di Prodi sia stato da meno.

Ora arriva Di Maio, il quale ha più parlamentari di tutto questo arcipelago messo insieme. Siamo ancora negli spogliatoi e per posizionarsi ai blocchi di partenza ci vuole tempo. L’affollamento dei potenziali alleati moltiplica le incertezze e i timori per la rielezione o per il futuro atterraggio in parlamento. Nello scontro tra personalismi è difficile emerga la figura di un potenziale capo. Basti pensare al duo Renzi-Calenda: l’unica collaborazione (alle elezioni capitoline) poco dopo il voto divenne un litigio tra frades-canes.
Se ognuno vuole costituire un proprio, autonomo centro non è immaginabile trovare chi possa mettere insieme tanti frammenti. In quanto a scissioni e scissionisti facciamo un breve pro memoria.

Il simil-partito di Mario Monti, “Scelta civica”, decedette litigiosamente subito, senza manco onoranze funebri, tanto da essere ricordato come “Sciolta civica”. “Futuro e libertà” di Gianfranco Fini, annunciato con squilli di trombe anche a sinistra, scomparve nel nulla come il suo fondatore. Il “Nuovo Centrodestra”, di Angelino Alfano, defunse alla prima prova elettorale lasciandosi dietro solo livori. “Leu”, “Articolo 1”, “Possibile”, ossia Bersani, Speranza (e D’Alema) sono ufficialmente vivi perché all’ufficio anagrafe non è ancora giunto il certificato di morte sopraggiunta. Quanto a Renzi e a Calenda… zente meda ma votos paccos. Si vedrà se faranno fine diversa dagli altri scissionisti.

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