13 Aprile 2023
19' di lettura
Pietrino Soddu.
Dare alla Sardegna
un nuovo strumento
di autogoverno
Qual è la crisi del mondo di oggi? È quella delle ideologie, della secolarizzazione che coinvolge non solo la politica ma anche la Chiesa, tutta la vita sociale. E’ cambiato il paradigma generale della nostra visione del mondo: ai diritti universali, a quelli sociali, ai diritti umani generali sono succeduti quelli personali e individuali. Un individualismo crescente, un ritiro verso il privato e un dominio della sfera privata rispetto a quella pubblica. La politica ha perso uno spazio e anche l’anima che la portava avanti, ha perso il cuore e la mente. Quelli che fanno politica oggi sembrano non avere né anima, né cuore, né mente. Non voglio offendere nessuno ma questo è il sentire più comune nel popolo. La gente non pensa più alla politica come un elemento che possa cambiare la sua vita, che possa migliorarla: la vede come un elemento che serve a una certa categoria, chiamata addirittura “casta”. E questa è la crisi di fondo, ed è cominciata – anche in Sardegna – con l’uccisione di Moro.
Noi abbiamo vissuto un periodo che ha visto la Sardegna mobilitata intorno a una visione, all’idea che potesse emanciparsi per essere uguale alle altre regioni più sviluppate d’Italia. Abbiamo vissuto la nostra militanza politica con questo sogno che poi in parte si è realizzato e in parte, per ragioni che non dipendevano dalla politica, è fallito nella parte della modernizzazione industriale.
Quello che sta succedendo oggi è il segno di questo fallimento ed insuccesso: non ha svegliato i sardi che si sono come piegati su se stessi. Pensiamo all’insularità: è una di quelle questioni sulle quali non discutere da parte di nessuno.
Dobbiamo trovare il modo per andare uniti all’individuazione di un obiettivo che stiamo inseguendo da tanto tempo. Perché la trasformazione delle istituzioni nazionali, la crisi dello Stato nazionale, l’allargamento del potere politico all’Europa, la globalizzazione dell’economia e della società, impone di rivedere profondamente il nostro statuto di autonomia e di fare un nuovo patto con lo Stato che dia alla Sardegna più sovranità. E oggi abbiamo l’occasione per farlo. Ringrazio monsignor Mura: che sia la Chiesa Sarda col suo Presidente della Conferenza episcopale a prendere in mano questa questione, obbliga anche tutti i laici, a cominciare dagli intellettuali, dalle università, dalle istituzioni pubbliche, associazioni, sindacati, partiti, a riunirsi in un concilio generale dove non si combatte per avere la maggioranza o la minoranza ma per dare alla Sardegna un nuovo strumento di autogoverno che faccia partecipare i sardi alla sovranità globale.
Antonello Soro.
Non è finita la democrazia,
è tempo
di partecipazione
La crisi della politica o la mutazione intervenuta nella nostra società è un fatto generale che in Italia viene declinato con una serie di cambiamenti che rendono volatile – e questo mi pare l’aspetto indiscutibile – l’orientamento elettorale degli italiani.
La disaffezione nei confronti dai partiti e della classe politica, considerati sempre ai limiti fra il corrotto e l’ignavo, nasce con l’esperienza di Tangentopoli. Un altro aspetto che ha riflessi sul modo di concepire l’organizzazione politica è sicuramente intervenuta nel 1994 con l’ascesa di un partito classificato come partito-azienda che per sua natura ha un andamento verticale dall’alto verso il basso, e questo non stimola la partecipazione tradizionale ma il consenso. L’altro elemento da tenere presente è stato l’illusione del partito di Grillo con il corollario dell’uno vale uno e con una serie di atteggiamenti che hanno favorito un diffuso sentimento negativo nei confronti della politica. Credo poi conti anche il diffondersi dell’abitudine al sondaggio quotidiano: essa produce l’effetto di spingere l’offerta politica alla risposta dell’immediato allontanando la visione più generale che invece era la caratteristica della politica della stagione precedente.
Ma la ragione principale del cambiamento è sicuramente la rivoluzione digitale che ha modificato il modo di essere dei cittadini del mondo producendo una rarefazione dei rapporti personali. La gente si incontra nei social e quindi risponde a una intermediazione diversa da quella tradizionale dei partiti o anche delle organizzazioni ecclesiali, dei sindacati. Oggi l’intermediazione la fanno i gestori delle piattaforme attraverso il bagaglio gigantesco di informazioni di cui dispongono e l’algoritmo che non è un elemento neutro ma il protagonista principale della società digitale. L’algoritmo privilegia contenuti denigratori dell’avversario, visto come il responsabile di tutte le nostre insoddisfazioni, considerato il nemico. E i leader politici degli ultimi 10 anni hanno pensato di adeguarsi a questa organizzazione della comunicazione.
Credo che se è finita una fase della politica incidente pesantemente nella democrazia, non è finita la democrazia. Dobbiamo immaginare come sia possibile invertire la tendenza. Nessuno di noi può avere la pretesa e la presunzione di fermare la storia, perché la storia va avanti e riserva sorprese e delusioni. È importante nell’interesse generale, nello spirito che la Costituzione italiana assegna ai partiti, ritrovare il canale originario, quello dei cittadini che sono chiamati a decidere le sorti del Paese partecipando attivamente. È un’impresa possibile? Forse sì, bisognerebbe provarci.
Angelo Rojch.
Occorre impegno,
formazione, passione
per il bene comune
Il tema proposto è sostanzialmente quello che pensa la gente e cioè che oggi non c’è politica. Mi chiedo: quale politica? Quella ispirata ad alti valori, allo spirito della Caritas, una politica che serve con disinteresse per amore del prossimo, non per tornaconto personale o elettorale ma per il bene comune. Questa idea è stata dominante in tutti i cattolici democratici, nei grandi leader che ha avuto il nostro paese da De Gasperi a Moro. La classe politica della Prima Repubblica è quella formatasi prima nelle università e poi nelle sezioni, nei circoli, nei seminari di studio, nei convegni, nell’Azione cattolica. E’ rimasta fedele al principio di San Tommaso del Bonum Commune. La classe dirigente di oggi no, non si è formata. È stata catapultata dalla società civile dentro la politica perché era contro la politica, contro il sistema e i partiti. Ed è una delle ragioni del perché non ha funzionato. Poi c’è stata Mani pulite che ha colpito la classe politica al governo guardandosi bene dal toccare altre forze.
In Sardegna ha influito certamente quanto avvenuto sul piano nazionale, però qui cosa è mancato? La passione autonomistica, la passione civile e politica. Me ne sono accorto quando a metà degli anni Ottanta si è aperto il dibattito in Consiglio regionale sull’articolo 13 del Piano di rinascita. Avevo fatto uno studio indicando le linee del nuovo Piano e la risposta fu una distrazione generale, lì capii che la politica era cambiata. La mia presidenza è capitata in un periodo certamente non fortunato perché le Partecipazioni Statali – che avevano stanzialmente governavano lo sviluppo industriale in Sardegna – erano in fuga. Per bloccare questa fuga le ho inventate tutte: riuscii a portare nell’Isola il governo Craxi con 7 ministri e affrontare, per la prima volta, la Questione Sarda. Avevamo nel nostro Dna una forza enorme che era la passione autonomistica, la passione civile, l’impegno a batterci per la nostra terra. Per noi era la posizione più radicale e dico che se abbiamo risolto problemi a Nuoro e in Sardegna è dovuto da questo. L’ospedale di Nuoro aveva 8 divisioni, sono diventate quasi 20, abbiamo rilanciato lo Zonchello, è nata l’università, e poi la Legge del ’92, perché dimenticarla? A Roma, in commissione Bilancio, siamo riusciti a far passare una legge che prevedeva 4700 miliardi per la Sardegna, ma i senatori sardi si sono addormentati e quello – dico ancora oggi – fu un crimine politico. La nostra non era l’età dell’oro ma era l’età dell’impegno: ce la mettevamo tutta e non da soli, mai da soli. Cercavamo la collaborazione di tutte le forze politiche, maggioranza e opposizione, sindacati, forze sociali. Questa è la nostra linea di allora ed è una linea che qualcosa ha prodotto.
Antonello Cabras.
Il terreno da esplorare
è ora quello
della sovranità
Stiamo parlando della crisi politica e abbiamo come punto di riferimento l’Italia e la Sardegna. Io proverei per un momento a cercare di capire se effettivamente questa è una caratteristica solo italiana e sarda guardando anche oltre. E lì cominciano le sorprese e le analogie.
C’è una crisi della politica nel Regno Unito, in Francia, in Spagna, in Germania, negli Stati Uniti. C’è una caratteristica che unisce tutti questi paesi: sono la parte ricca del mondo. Questa crisi nasce con la globalizzazione, perché uno degli effetti economici è che la parte più povera del mondo ha cominciato ad essere meno povera ma il mondo ha continuato a produrre più o meno la stessa ricchezza. Per dirla in modo semplicistico, si è diviso il bottino con più gente e quelli che hanno visto aggredita la loro situazione di particolare benessere sono quelli della parte ricca del mondo. La democrazia entra in crisi quando ciascuno di noi si sente aggredito nelle sue sicurezze. Il cittadino semplice usa uno strumento: non va più a votare. E questo è il fenomeno che noi abbiamo registrato in maniera sempre più insistente, fino a toccare la punta massima delle ultime elezioni politiche.
Una volta Gianfranco Anedda mi disse: “Ricordati che quando il popolo si pronuncia una volta dice una cosa, un’altra volta ne dice un’altra. Ma se fai la media, vede giusto”. In realtà “la casta” a un certo punto è scomparsa eppure il popolo ha continuato a protestare come se ci fosse ancora. Se guardate il tasso di rinnovamento che abbiamo registrato nelle assemblee legislative in Italia negli ultimi 15 anni non ha eguali rispetto al passato.
Ora abbiamo davanti la strada che ha proposto Pietrino Soddu: tra l’autonomia e i limiti dell’indipendenza lui ha rovesciato lo schema, ha detto sovranità. Non c’è dubbio, ci sono paesi in Europa che hanno la popolazione che abbiamo noi, ma contano molto di più perché sono paesi sovrani. E quindi nella discussione sui fattori che oggi caratterizzano le decisioni in materia economica hanno un peso enorme. Questo è un terreno che dobbiamo esplorare, analizzare, ma non trascuriamo il tema che la crisi della democrazia nasce dal fatto che le persone si sentono aggredite e non trovano chi può difenderle. Da qui nascono i movimenti sovranisti, nasce la battaglia insensata contro gli emigranti, soprattutto in una terra come la nostra, che avrebbe bisogno di avere demografia visto che noi abbiamo deciso di rinunciare totalmente ad alimentare la specie dei sardi, chiamiamola così.
Renato Soru.
Presente e futuro sono
nella Conoscenza
e nel valore del creato
I valori di oggi sono due: la conoscenza, il sapere diffuso, e poi la difesa del creato, la qualità dell’ambiente, la sopravvivenza del pianeta. Dobbiamo continuare con una Sardegna che guarda al passato, con le parole d’ordine del passato? Per venire fuori dalla crisi non si riesce accontentando l’uno e l’altro, accontentando l’inerzia e la rassegnazione, non è con l’idea di rivendicare e chiedere più soldi. Ne verremo fuori se sapremo indicare un orizzonte, un percorso per arrivare a un futuro possibile.
E quindi dove ci siamo persi? Ci siamo persi continuando a rivendicare senza guardare dentro di noi e senza rivendicare il nostro impegno, la nostra volontà, la nostra capacità. E ci siamo persi con parole antiche anziché guardare alle parole nuove e immaginare un futuro nuovo. Ma il giorno migliore per la Sardegna è ancora da scrivere perché il mondo di oggi, il mondo che si sta disegnando, non è vero che è cattivo ed è contro di noi. E’ un mondo in cui se davvero il valore più importante è la conoscenza, noi non abbiamo oro, non abbiamo petrolio però abbiamo intelligenza che si può educare. Non ci vogliono generazioni per educare l’intelligenza e arrivare a un livello di sapere paragonabile almeno a quello delle regioni del Nord Italia o a quelle di altri paesi, anche più poveri di noi in Europa ma che si stanno preparando molto più di noi per il futuro.
Se è importante la conoscenza, noi possiamo giocare un ruolo e la Sardegna può finalmente avere un ruolo. Se è importante la qualità ambientale, noi possiamo giocare un ruolo e abbiamo il dovere di farlo. Se è importante la transizione energetica, il sole e il vento – e non bisogna farselo rubare – occorre utilizzarli innanzitutto per abbattere la bolletta delle aziende, a renderle più competitive e bisogna utilizzarli per difendere il reddito delle famiglie sarde.
Il Mediterraneo sta tornando ad essere crocevia del mondo. Abbiamo l’Africa a due passi dove si confrontano oggi Cina, India e Russia. La Sardegna può immaginare un ruolo per se stessa, magari un ruolo di regione di pace, un luogo di discussione, di confronto tra questi mondi così vicini e così lontani, così diversi. Quindi il tempo più bello deve venire se lo sappiamo accogliere. Se vogliamo continuare a farci del male gli uni con gli altri, armarci gli uni contro gli altri, tenere l’odio gli uni con gli altri, l’orizzonte è segnato. Se invece vogliamo provare a immaginarlo tutti assieme, pur con visioni diverse, pur con colori diversi, convinti che ci sia una strada, credo valga la pena di percorrerla assieme e di stare tutti insieme per una volta.
Carmelo Porcu.
Prima di chiederci
dov’è la politica
domandiamoci dov’è finito l’uomo
Tutti gli interventi che si sono succeduti hanno avuto al centro la Sardegna. Io voglio fare un altro tipo di discorso. Siamo nell’anno di grazia 2023, fra 2 anni siamo al primo quarto di secolo del ventunesimo secolo, al primo traguardo significativo in termine temporale del terzo millenni. Sembra che in questo terzo millennio ci siamo entrati ieri, ci ha accompagnato claudicante, profeticamente sofferente Giovanni Paolo II dicendo “Non abbiate paura di attraversare quella porta”. Ve lo ricordate il Papa più disabile, più più malato, più messo male che ha avuto il coraggio, la forza interiore, di portarci, di guidarci come umanità e come comunità di credenti a questo traguardo incredibile. Oggi ci siamo consumati già un quarto del nostro secolo e pensiamo a cosa è avvenuto: nel 2001 il più grande attentato terroristico dell’era moderna; qualche tempo dopo arriva la più grande crisi economica planetaria addirittura superiore a quella mitica del ‘29. Ancora sentiamo le conseguenze di quella crisi ed ecco che arriva la più grande pandemia, stiamo per uscirne ed ecco la guerra in Europa. Se noi guardiamo tutto questo, cosa è la crisi della politica rispetto a quanto è capitato e che può capitare? Io continuo a sostenere che un conto è la politica, un altro è la democrazia. A me interessa molto la democrazia. Prima ancora di sapere o di chiederci dov’è la politica dobbiamo chiederci dov’è finito l’uomo, dov’è andata a finire la persona. Non è possibile che noi assistiamo a questo processo di vittoria del nichilismo in salsa moderna, in cui i valori vengono messi in discussione, in una società dove regna purtroppo la legge del più forte, dove finisce anche la capacità di chiamarsi fratelli. Ogni paese ha dato una sua risposta a questa crisi morale. In Italia c’è un fatto importante: le elezioni del 25 settembre hanno avuto un esito politicamente chiaro ma sono anche state le meno partecipate della storia. Più si va avanti e meno la gente partecipa.
Io vorrei fare un appello: ho visto che la maggior parte dei miei interlocutori è tutta proveniente o comunque stabile a sinistra. Allora dico: bisogna che la sinistra faccia un bell’esame di coscienza. Se gli elettori hanno stabilito delle cose con un voto, questo voto sia rispettato. Vorrei dirlo senza suscitare molto clamore perché son venuto qua per ascoltare: non è possibile che ancora oggi ogni volta che uno apre bocca a livello di maggioranza, politica e di governo, gli venga rinverdito il discorso del fascio.
Beppe Pisanu.
Senza politica
il governo finisce
nelle mani della burocrazia
La politica si è smarrita nel bosco dei grandi eventi che hanno segnato il mondo negli ultimi 30-35 anni. E là dove si è smarrita penso che dobbiamo andare a cercarla. Ma che cos’è l’oggetto da cercare? Che cos’è la politica? È una professione intellettuale ad elevato contenuto morale e il suo compito, anzi la sua missione, è quella di dominare i fatti con l’intelligenza e di condurli verso il bene comune. Perché i fatti, cioè i processi socioeconomici, se sono lasciati a sé ubbidiscono soltanto alla legge del più forte. E normalmente finiscono male. E la politica viene sostituita da altro.
Questo è accaduto alla Sardegna di questi anni dove, in assenza di politica, cioè in assenza di una visione condivisa del futuro dell’Isola e di progetti coerenti, il governo dei processi economici e sociali è passato dalle mani della politica a quelle della burocrazia, del mercato, dei poteri cosiddetti forti, quando non occulti. E i risultati sono quelli che abbiamo tutti sotto gli occhi.
Per tornare al punto, il compito della politica è esattamente quello di prefigurare il futuro e di cercare di governarlo. Il problema è di fare in modo che i modelli digitalizzati di lavoro e di vita siano resi compatibili coi diritti fondamentali della persona umana e con lo stato di diritto. La crisi delle ideologie e la globalizzazione hanno portato in Italia alla fine dei grandi partiti politici e questa è stata una perdita enorme perché i partiti producevano idee e programmi, selezionavano classe dirigente, organizzavano consenso, favorivano la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica come dice testualmente la nostra Costituzione. Tutto questo invece è venuto a mancare e non è stato sostituito da nulla.
È possibile restituire alla politica il primato che le compete? Io penso di sì: intanto perché la politica ha toccato il fondo e dal fondo non si può che risalire e poi perché colgo all’orizzonte segnali se pure incerti che mi sembrano positivi. Penso alla globalizzazione che si sta virtuosamente ridimensionando, all’Unione europea che sta ritrovando anche nei fatti respiro politico e culturale che gli avevano dato i padri fondatori, penso anche a tragedie planetarie che stanno risvegliando i valori cristiani dell’occidente. Penso al nuovo protagonismo delle donne, dei giovani e dei lavoratori. Sono queste le forze vere del cambiamento, quelle più in grado di presagire futuro e di governarlo. Le dobbiamo sostenere. Se dunque la politica è una professione intellettuale, è certo che essa ha bisogno di più professionalità e cultura. E se il suo fine è quello del bene comune, è certo che ha bisogno di più moralità. In fondo la questione politica era essenzialmente, e ancora oggi rimane, una questione morale.
Le parole del Vescovo Antonello.
Sono state fatte delle obiezioni a quest’incontro. “Ma come mai la Chiesa si mette in gioco?” Primo, perché non può farne a meno. Secondo, perché è un momento nel quale la gente deve ritrovare la possibilità di parlarsi e di ascoltare. È solo un’occasione ma un’occasione da non perdere.
L’altra obiezione: mi hanno detto che “ha convocato gente che non ha futuro”. In realtà ho sentito più parole nuove talvolta dagli anziani che dai giovani. E non lo dico come spregio per i giovani, perché oggi sono venute fuori anche delle parole che guardano al loro futuro. La memoria è importante, siamo troppo frettolosi o disinvolti nel toglierla di mezzo.
“Non ci sono donne”, ma abbiamo scelto un’epoca ben precisa e in quel periodo non ce n’erano, è un segno che dobbiamo prendere come possibilità per guardare al futuro. Abbiamo scelto di coinvolgere persone che non hanno in questo momento un ruolo istituzionale e proprio per questo sono una memoria vivente, è come una pagina di storia.
In conclusione: oggi abbiamo bisogno di persone con idee, non di propaganda o ideologia, che studino e si formino. Occorre evitare che la democrazia si trasformi in personalismo ed è necessario selezionare meglio la classe politica dando la possibilità a tutti di giocarsi la propria passione, meno opportunismi e più idee, più discernimento in vista del bene comune. Ai docenti di religione presenti dico: educate i ragazzi ad avere passione politica.