8 Aprile 2023
3' di lettura
Alla domanda su quale sia il nucleo fondamentale che regge il messaggio cristiano, si risponde quasi sempre: la carità. Cioè, la fraternità umana o l’amore reciproco. Mentre il messaggio più antico, la formula che la storia critica del Cristianesimo riscontra permanente fin dagli anni 30 d.C. è l’annuncio della Resurrezione. Il primo messaggio è «Gesù è veramente risorto». «Da quello derivano tutti gli altri», affermava in un suo saggio il cardinal Martini. Nonostante qualche dissenziente, le ormai innumerevoli ricerche storico-esegetiche vi concordano e lo confermano.
Dalla Resurrezione è nata, si è strutturata e articolata la missione e la predicazione della Chiesa. D’altronde è proprio dalla esperienza pasquale che i discepoli hanno maturato la comprensione esplicita (se prima c’era, era solo implicita) della missione salvifica del Maestro. Solo dopo la rilettura pensosa in retrospettiva (dalla croce alla condanna, dalle opere alla predicazione, dai miracoli all’infanzia, alla nascita in una stalla), riuscirono a collocare la sua sovrumana figura, unica nel mondo e nella storia, «secondo le Scritture». Avvenne «un processo di conversione», sosteneva il grande teologo Schillebeeckx: gli stessi discepoli che prima lo avevano tradito e abbandonato adesso lo proclamavano unico salvatore con convinzione e audacia.
Solo a partire dal secolo scorso si è dato spazio ad analisi linguistiche approfondite a riguardo sulle narrazioni degli apostoli. In sintesi, due sono gli schemi linguistici su cui poggia l’esperienza pasquale: la Resurrezione e la Esaltazione. Il concetto più ricorrente è quello di Resurrezione (presente nei testi canonici una cinquantina di volte) con espressioni che hanno Dio come autore (Cristo è resuscitato da Dio) oppure che attribuiscono a Cristo stesso (Cristo risorge) quello che era attribuito a Dio.
Lo schema della Esaltazione è meno presente, ma possiede grande rilievo, perché ha valore apocalittico (rivelatorio): «il Figlio crocifisso è glorificato alla destra del Padre» (Atti degli Apostoli), «Dio lo ha esaltato» (Paolo), «Dio lo ha innalzato nella gloria del cielo» e non più sulla croce (Giovanni) e, con simili accenti, anche Matteo, Marco e Luca. Lo schema della esaltazione domina, insieme alla resurrezione, lungo tutto l’annuncio pasquale e trova poi la forma plastica e monumentale nel racconto dell’Ascensione con la scomparsa del Risorto dietro una nube. Immagine questa non nuova nella narrativa mitico-religiosa: il filosofo Celso, nel 160 circa d. C. , accuserà i cristiani di utilizzare disinvoltamente non solo la matrice veterotestamentaria – come avviene per i martiri, i giusti umiliati e per i profeti scherniti ma riscattati e glorificati da Dio, nei due casi di Elia e di Enoch proprio col rapimento in cielo -, ma anche quella mitico-pagana di Osiride-Dioniso, dèi della vegetazione, attraverso la morte nel ciclo invernale e la resuscitazione alla vita in quello della primavera.