Peppe Mesina, una favola di amore
di Michele Casula

13 Gennaio 2022

5' di lettura

Le cronache dei giornali raccontano di grandi personaggi, raramente di persone semplici e umili, tanto meno di “disabili”, la storia quotidiana e ordinaria, invece, è fatta di uomini e donne che mettono la loro vita al servizio degli altri perchè amano. L’amore ha tanti volti e in questi ultimi decenni la comunità di Orgosolo ha avuto la “fortuna” di avere al suo interno tanti uomini e donne che, non riempiranno le cronache dei giornali, ma hanno riempito il cuore di tutti con il loro amore e la loro “strana” bellezza. Vengono chiamati disabili, da tanto tempo amo definirli “il più bel sorriso di Dio”, perchè da loro ho imparato e imparo tanto. In questi ultimi anni alcuni di loro ci hanno lasciato: Vittoria, Totore, Giovanni, Pascale… e, ultimo, Peppe Mesina. Lo abbiamo sepolto domenica sera, dopo una struggente celebrazione alla quale hanno preso parte tantissimi sacerdoti e una folla immensa in presenza e attraverso la diretta facebook della parrocchia di Orgosolo. Ricordo nel mio primo anno di apostolato a Orgosolo, in una visita alla madre prima della sua morte, che mi raccomandava di prendermi cura di Peppe, il più piccolo dei suoi figli e anche il più fragile. Ho di lei un ricordo stupendo: donna di grande forza e grande fede, che viveva l’ultimo tratto della sua vita per il suo amato figlio. Per merito suo, e, in seguito, degli altri familiari, Peppe viveva la sua disabilità di ragazzo down non come impedimento alla vita sociale, ma come stimolo a mantenere bellissimi rapporti con tutti. Addirittura gli amici gli avevano inventato un lavoro: ogni giorno partiva per Nuoro con Totore e Antonio Diego per lavorare nell’artiglieria, dove simpaticamente l’avevano nominato “maresciallo di cucina”in quanto ambiente di lavoro più frequentato, dove con calma apparecchiava e poi beatamente consumava. Partecipava all’ACR e a tutti i gruppi e comitati del paese e aveva un rapporto quotidiano con tutti nel bar di famiglia “da ziu Mesina”. Dopo la morte della carissima mamma, gli proposi di diventare chierichetto e lui accolse con gioia quella mia proposta: da allora per oltre 30 anni ha svolto il suo servizio con una dedizione e una costanza impressionante. Ormai era diventato anche “capo” di una numerosissima schiera di ministranti e aveva come segno distintivo la croce che portava con orgoglio nelle celebrazioni, nei funerali e nelle processioni. Nessuno poteva sostituirlo, pena duri rimproveri e richiami “la croce è di Peppe perchè Peppe è il capo “Un giorno gli dissi: “caro Peppe, ai funerali può mancare il defunto, ma tu sarai sempre presente”. Rispose, come solo lui sapeva fare, con un sorriso che rimane sempre nel cuore di tutti “Eh sii, Peppe non manca mai” Aveva un alto concetto di se stesso e quando lo invitammo a partecipare alle attività organizzate dalla Caritas per i disabili, rispondeva:“Peppe, quando era piccolo era disabile, adesso no”. Accettò di partecipare solo dopo che lo nominammo educatore. Era dolcissimo nelle sue manifestazioni di affetto: nella sacrestia di Orgosolo le coccole, gli abbracci e i baci si sprecavano, nei confronti dei sacerdoti, dei seminaristi e dei chierichetti, specialmente i più piccoli, che guidava con amore e pazienza.“Guarda come Peppe fa la croce e la genuflessione e impara da lui”.ripeteva continuamente. Era l’uomo della pazienza e della calma: Se qualche volta qualcuno lo invitava a velocizzare i suoi movimenti liturgici ripeteva: “calma, pazienza, bisogna fare come fa Peppe” Nella messa spesso leggeva bellissime preghiere preparate da lui. Pregava tantissimo e si inginocchiava a lungo: la calma era la sua dote più preziosa. Partecipava a tutti i campi, ai convegni e alle gite dei chierichetti e dell’Acr e riempiva le nostre serate allegre con i suoi scherzi e le sue battute. Immancabile ai pellegrinaggi in varie parti d’Italia. Rimane storica l’imitazione di mos. Melis a Roma, davanti a tutti i vescovi della Sardegna, che suscitò ilarità e allegria, ripetendone alla perfezione parole e movimenti del corpo e delle mani: bellissimo l’abbraccio con mons. Melis, vittima delle sue imitazioni. Amava definirsi “Peppe è l’ombra di don Michele” e davvero lo ricordo sempre accanto col suo sorriso e il suo affetto, come ricordo le sue lacrime il giorno del mio trasferimento, ma poi con facilità si legava ai nuovi parroci. Aveva il terrore della morte e allora lo tranquillizzai dicendo: “Peppe non muore mai, dura tutta la vita”, frase che ripeteva continuamente compiaciuto. Quella di Peppe sembra una favola, è una storia bellissima e attualissima, una storia che capovolge i nostri paradigmi, spesso non basati sul Vangelo: “se non diventerete come bambini non entreredte nel regno dei cieli…” e Peppe Mesina è stato un piccolodel vangelo, diventato grande nel cuore di Dio e di ogni persona che lo ha incontrato. Una favola stupenda, che ci lascia tanti insegnamenti, ma che onora anche la comunità di Orgosolo per come ha saputo e sa accogliere e valorizzare “i più bei sorrisi di Dio”. © riproduzione riservata

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