5 Aprile 2022
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Secondo i più entusiasti, l’ultimo giro di valzer tra Regione Sardegna e Governo nazionale – complice la Corte Costituzionale – certifica che la prima poteva ben decidere di dotarsi di due città metropolitane (Cagliari e Sassari) e di sei province: Nuoro, Oristano, Sulcis Iglesiente con capoluoghi Carbonia e Iglesias, Medio Campidano con capoluoghi Sanluri e Villacidro, Ogliastra che avrà come capoluoghi Lanusei e Tortolì e la Gallura con capoluoghi Olbia e Tempio. In realtà, qualche giurista ben informato fa notare che la Consulta ha dichiarato «l’inammissibilità del ricorso del Governo perché il ricorrente avrebbe dovuto estendere la censura a tutta la legge», e non solo quindi contestare la necessità di un referendum per reintrodurre le vecchie province. Ma la storia degli enti intermedi sardi è zeppa di false partenze, e questa non sarà certamente da meno. Intanto resta il ceffone a quel 35,5% dei sardi che nel maggio 2012 (appena 10 anni fa, non nel secolo scorso) si pronunciò per l’abolizione della nuova configurazione degli enti locali, con la battaglia epica dei Riformatori di Massimo Fantola e Michele Cossa che – a buona ragione – se ne intestarono il merito. Appena 4 anni dopo il centrosinistra, nel frattempo al governo in Regione, tentò di ridisegnare la mappa, risuscitando enti che sono rimasti in mano a lungo ad amministratori straordinari, per la difficoltà di qualunque maggioranza di trovare accordi (vedi alla voce rimpasto in Regione). Sarà così anche stavolta: il perché è presto detto. La norma prevede che per individuare chi governerà le nuove province debbano svolgersi elezioni “di secondo livello”, cioè consultazioni tra gli eletti nei vari consigli comunali che rientrano in ciascuna delle ripartizioni. E qui casca l’asino. Nelle varie amministrazioni, infatti, le scadenze elettorali sono spesso diverse, e il rischio di eleggere consiglieri comunali il cui mandato scade nel giro di poche settimane è altissimo.Resta sullo sfondo la necessità di individuare la competenza sulle materie un tempo affidate alle province: su tutti, strade e scuole superiori. I periodici servizi del Tg locali certificano lo stato di abbandono in cui versano le une e, spesso, anche le altre. Nel frattempo, la commissione Autonomia del Consiglio regionale ha deliberato di portare a quattro i mandati consecutivi dei sindaci nei comuni con meno di tremila abitanti, mentre nei centri con una popolazione inferiore a 15mila residenti, si potrà restare in Municipio per quindici anni di seguito. Sulla proposta presentata da Roberto Deriu e Rossella Pinna (Pd) – e che ora attende l’approvazione in aula – si era espresso negativamente il Consiglio delle Autonomie Locali, ma a qualcuno in Regione non importa e pare normale restare sindaco di un paese per 20 anni. Ultima notazione: si tratta ancora una volta di un’esagerazione rispetto ad una norma nazionale. Il Parlamento ha infatti stabilito che nei comuni con meno di tremila anime si possa restare primi cittadini 15 anni. In Sardegna no: meglio allungare a 20 anni. Dalle poltrone è davvero complesso staccarsi.