Cibo, terra e salute
Se non possiamo più godere, liberamente, della bellezza della nostra terra, potremmo vivere bene?
di Mariantonia Monni
4' di lettura
12 Luglio 2024

Il cibo che mangiamo viene, in modo diretto o indiretto, dalla terra o meglio dal suolo. Non si tratta di una cosa ovvia perché spesso, soprattutto i giovani, si dimenticano di questo forte legame, essendo abituati a trovare il cibo “già pronto” sugli scaffali dei negozi. Ebbene la salute del suolo è necessaria per la nostra salute poiché, solo una terra “sana”, può dare cibo di qualità. Il suolo è fondamentale nella produzione del 95% di cibo, per il controllo idrogeologico e dei gas serra, per il riciclo di nutrienti e per preservare la biodiversità di piante e animali. La perdita di quest’ultima è una minaccia per l’ecosistema Terra e quindi per la nostra esistenza. 

Strettamente legato al concetto di suolo è quello di “paesaggio”. Esso, facendo riferimento alla Convenzione europea del paesaggio, può essere considerato come l’insieme di territorio, cultura, lingua, storia e tradizione della popolazione che lo abita. Si tratta di entità strettamente legate tra loro, il benessere dell’uno dipende dalla salute dell’altro. Sappiamo che il suolo, come l’acqua, perché non è eterno o rinnovabile, è un bene di tutti da preservare. Salvaguardare le risorse del pianeta e contrastare gli effetti del cambiamento climatico è una nostra responsabilità. 

Di grande attualità in tal senso è la Transizione Energetica, cioè il passaggio da un sistema basato sull’utilizzo di combustibili fossili per la produzione di energia (carbone, petrolio) a uno basato su fonti rinnovabili (sole, vento). Questa è necessaria e non più rimandabile, ma, a quanto pare, sembra “a carico” in particolare della Sardegna e di altre regioni meridionali. Sappiamo tutti dell’invasione di progetti per la realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici! Sembrerebbe che l’energia prodotta sarebbe in eccesso rispetto a quella che la Sardegna può consumare e che non potrà essere esportata completamente perché mancano le strutture adeguate. Quindi, da profani, viene da chiedersi che senso ha tale “spreco”? Molti di questi impianti si dovrebbero realizzare su zone agro-pastorali, in prossimità di zone a vocazione turistica, di grande interesse archeologico, culturale, religioso e paesaggistico. Che la Sardegna sia stata terra di facile conquista purtroppo non è una novità, ma oggi lo è ancora di più. La transizione verso produzioni energetiche più ecosostenibili rischia quindi di diventare solo speculazione economica, a vantaggio degli interessi di grandi aziende e a danno delle comunità, i cui diritti e interessi legittimi, sono considerati, ancora una volta, sacrificabili. Per la realizzazione di tali impianti, per il trasporto dei materiali, per la costruzione di fondamenta e strutture di stoccaggio pare sia necessario modificare strade, confini e paesaggi. Considerando il numero e le caratteristiche dei vari progetti è quindi giusta e condivisibile la preoccupazione delle popolazioni, per la perdita della vocazione agropastorale di molte terre, della bellezza del paesaggio e per i danni al patrimonio archeologico (la protesta di Pratobello è ancora attuale). La transizione energetica deve essere realmente “ecologica” e dunque rispettosa delle persone e dei luoghi. Sì all’innovazione, ma senza distruzione! 

Avere meno terre coltivabili significherà ad esempio importare più cibo con ulteriori problematiche legate all’origine. Se non possiamo più godere, liberamente, della bellezza della nostra terra, potremmo vivere bene? Ricordiamoci che per l’Oms la salute non è solo l’assenza di malattia ma è una condizione di benessere fisico, mentale e sociale. Ricomporre il legame tra cibo e terra è importante e la gestione sostenibile del suolo è fondamentale e doverosa per avere cibo sano. Una frase attribuita a Toro Seduto, capo degli indiani Sioux, riportata in uno dei murales più belli di Orgosolo, ammonisce «quando l’ultimo albero sarà abbattuto, l’ultimo pesce mangiato e l’ultimo fiume avvelenato, vi renderete conto che non si può mangiare il denaro».

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