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L’Ortobene
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di Nuoro n. 35/2017 V.G.
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Il termine indica quei prodotti derivati dalla fermentazione degli alimenti. La fermentazione (dal latino fervere cioè bollire, con formazione di bolle) è probabilmente una delle più antiche tecniche di conservazione dei cibi. Si tratta di un processo biochimico svolto da lieviti e batteri presenti naturalmente sul cibo o aggiunti dall’uomo. Questi, una volta colonizzato l’alimento di partenza, hanno la capacità di prolungarne la conservazione grazie all’ambiente acido creato e impedendo la crescita dei microrganismi nocivi. Ancora, lo trasformano in un prodotto più ricco a livello nutrizionale perché rendono vitamine, minerali e altri micronutrienti più “biodisponibili”, cioè meglio utilizzabili dal corpo. Inoltre la fermentazione può migliorare la digeribilità di alcuni cibi poiché alcuni carboidrati complessi e proteine in essi contenuti sono convertiti molecole più semplici, permettendone il consumo anche da parte di individui intolleranti, come per il lattosio. Infine essa arricchisce il nostro intestino di microrganismi utili per il benessere del corpo. I cibi fermentati fanno parte della nostra alimentazione da sempre, ma solo negli ultimi anni sono stati rivalutati dalla Scienza per i loro potenziali effetti positivi sulla salute umana (sono però necessari ulteriori studi).
Tali cibi sono presenti nella cucina tradizionale di vari popoli ed è difficile conoscerne il numero esatto anche perché tutti i cibi possono essere sottoposti a fermentazione (verdure, carne, pesce, latte ecc). Uno dei più noti è certamente lo yogurt ottenuto dalla fermentazione del latte grazie all’azione dei batteri Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus thermophilus. Il kefir originario dei monti del Caucaso è ottenuto aggiungendo al latte (o all’acqua) uno specifico mix (granuli) di lieviti e batteri che conferiscono al prodotto consistenza cremosa e lievemente effervescente. Ricordiamo in Sardegna su joddu e sa frue o casu axedu (conosciuto anche con altri nomi in base alla zona). I crauti particolarmente diffusi in Germania, si ottengono dalla fermentazione del cavolo capuccio. Anche il pane con il lievito madre (“madrihe” o “framentu” o “hermentazzu”) può essere considerato un cibo fermentato, anche se in questo caso il prodotto finale non contiene microrganismi vivi, perché sottoposto a cottura. Altri meno familiari, ma sempre più diffusi: il kombucha (diffuso in Cina), ottenuto dalla combinazione di batteri, lieviti e aggiunta di zucchero bianco al tè nero; il sakè (giapponese) ottenuto dalla bevanda di riso; il kimchi (di origini coreane), a base di verdure e spezie; il tempeh (tipico della cucina indonesiana) che si produce dai fagioli di soia.
Anche se si tratta di alimenti per lo più salutari vanno consumati sempre con la giusta moderazione e particolare attenzione devono prestare i soggetti allergici (per l’alto contenuto di istamina e tiramina) o chi soffre di emicrania. Fondamentale è rispettare le regole igieniche per la loro preparazione e conservazione per evitare il rischio di intossicazioni alimentari.
Infine è molto importante, verificare sempre la provenienza e la lista degli ingredienti, per evitare di scegliere prodotti ricchi di sale e/o zuccheri aggiunti. Infine essendo i cibi fermentati “vivi” ci ricordano l’importanza della condivisione del cibo, in Barbagia era consuetudine, quando si faceva il pane, chiedere una parte di lievito madre “in prestito” per iniziare la panificazione, in epoca moderna questa condivisione si è riscoperta grazie ai social, ad esempio esistono tanti gruppi in cui vengono condivisi gratuitamente i granuli per la preparazione del kefir. Quindi anche i cibi fermentati, possono essere inseriti nella nostra alimentazione perché, nella giusta frequenza e appropriate porzioni, possono essere molti utili per la nostra salute.