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Francesco Mariani
Uno dei temi trasversali nella Parola di Dio di questa domenica è indubbiamente quello dell’accoglienza, che ricorre in modo esplicito nella prima lettura e ritorna poi anche nel brano del Vangelo.
Il profeta Eliseo veniva ordinariamente accolto da una coppia di sposi, non benedetti però dal dono della prole. Ben consapevoli che si trattava di un “uomo di Dio”, questi sposi decidono di allestire una camera appositamente per Eliseo, così che vi si potesse ritirare e trovarvi riposo.
Il brano mostra quanto l’accoglienza sia feconda: non solo viene ricompensata, ma in un certo senso ogni gesto di accoglienza, ogni atto di vera carità, cambiano il corso della storia, come alla coppia di Sunem, per i quali l’ospitalità offerta al profeta fiorisce nel dono della discendenza.
Il testo matteano del Vangelo, tratto dal grande discorso missionario, offre quattro indicazioni fondamentali, che possiamo così schematizzare. Anzitutto l’esigenza radicale della sequela, che ha due dimensioni essenziali, l’amore e l’assunzione della croce. Seguire Gesù può anche essere comodo, può essere mosso anche dal semplice tornaconto o dall’illusione che, seguendolo, poi Egli sia in qualche modo “obbligato” ad esaudire ogni nostro desiderio. La sequela poi può essere solamente esteriore, non coinvolgere il cuore, i sentimenti, le scelte, gli atteggiamenti. Ecco perché la prima condizione della sequela è l’amore sincero al Signore e quindi, la disponibilità anche alla rinuncia, che la logica della croce impone.
Seconda indicazione: il Vangelo esige il dono di sé, donare la propria vita è il modo migliore per ritrovarla e darle un senso che va al di là della storia stessa, il sapore dell’eternità.
La terza indicazione riguarda proprio l’accoglienza, ed è il nesso che unisce la prima lettura al Vangelo in particolare il riferimento all’accoglienza del profeta. Anzitutto accogliere, nella prospettiva di Gesù, non è tanto un gesto di cordialità o benevolenza umane, ma assume una portata teologica. Gesù infatti si identifica totalmente con ogni apostolo e ogni discepolo, per cui ogni gesto di accoglienza in qualche modo riguarda anche il Signore. San Benedetto, nella sua Regola, dedica un intero capitolo all’accoglienza degli ospiti, e afferma: «Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo». Nel volto del fratello accolto, si nasconde allora il volto stesso di Gesù.
In questa prospettiva, anche un bicchiere d’acqua dato ad un discepolo ottiene la ricompensa del Padre. La semplicità del gesto non offusca la sua grande preziosità, che contribuisce paradossalmente all’annuncio del Vangelo. Pensare che essere discepoli implichi allora cose più grandi di noi, ci porterebbe inevitabilmente ad arrenderci in partenza. In realtà, proprio le scarne e lucide affermazioni di Gesù, ci ricordano che il discepolato si costruisce su scelte quotidiane, essenziali, senza troppi fronzoli, ma con verità.
L’ultima indicazione ci ricorda proprio questo: ogni gesto d’amore è già annuncio del Vangelo. Ciò che conta infatti non è quanto grande sia ciò che riusciamo a fare. Gesù ci insegna a costruire il Regno a partire dalle piccole cose, da un bicchiere d’acqua, da un gesto di ospitalità, dalla capacità di sapersi spendere per i fratelli e le sorelle.
Un’ultima parola merita la seconda lettura. Il rinnovamento della vita non è affatto l’esito di un impegno morale o della sola volontà. La “vita nuova” discende dalla morte e dalla risurrezione di Cristo, è frutto maturo della sua Pasqua. Per questo, o si entra personalmente in questo mistero e ci si lascia coinvolgere nella dimensione pasquale, oppure non si può sperimentare un autentico rinnovamento. Questa dinamica di morte e risurrezione, in cui siamo immersi per virtù del Battesimo, si realizza soprattutto nell’esperienza del perdono e della misericordia, in cui moriamo al peccato e viviamo “per Dio in Cristo Gesù”. È proprio questa unione intima con il Signore Gesù lo scopo e il fine di ogni cammino discepolare.