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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Papa Francesco ci insegna che esiste una “gioia del Vangelo” (Evangelii gaudium), ma sfogliando le pagine del Nuovo Testamento, ci accorgiamo che esiste anche un “Vangelo della gioia” (Evangelium gaudii). In effetti, più volte Gesù invita a rimanere nel suo amore perché la nostra gioia sia piena, indicando perciò in Lui e nella sua Parola la sorgente della gioia autentica.
Tradizionalmente, la III domenica di Avvento è connotata da un esplicito invito alla gioia, che abbraccia trasversalmente tutta la liturgia, a partire dall’antifona di ingresso – «Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto: rallegratevi» – e nelle parole del profeta Isaia. E come non ricordare che proprio Giovanni il Battista, ancora protagonista del Vangelo, trasalì di gioia nel grembo di sua madre nell’incontro tra Maria ed Elisabetta.
Occorre però sgomberare subito il campo da un equivoco. La gioia cristiana, la gioia di Gesù, non coincide certamente con l’allegria spensierata che nasce dagli eccessi o dalla smodata ricerca del piacere.
Quella che dona Gesù è una gioia intima, profonda, sincera, indipendente dalle contingenze esteriori, perché frutto non di un godimento immediato, ma di un incontro. È qui che sta la radice della gioia del discepolo. Già Paolo, proprio nell’antifona citata, lo dice chiaramente: «Rallegratevi, perché il Signore è vicino». È la sua prossimità, la sua presenza, il suo amore a donare gioia vera.
Isaia invita proprio all’esultanza, al coraggio, a non aver paura. Le immagini che usa, quasi in crescendo, dicono proprio un rifiorire della vita, una rinascita, anche in questo caso con una motivazione chiara: «Ecco il vostro Dio… Egli viene a salvarvi». Ancora una volta, è la certezza della venuta del Signore a rianimare il cuore affranto e piegato di ogni povero, ogni scartato, ogni abbandonato.
Quanto abbiamo bisogno di essere consolati e incoraggiati! Ogni giorno sperimentiamo la nostra debolezza e fragilità, e questo genera in noi paura e sgomento. Ma è proprio per questa debolezza che siamo amati, ed è in questa debolezza che siamo salvati.
Anche Giacomo, nella II lettura, esorta alla fiducia e a rinfrancare i nostri cuori perché la venuta del Signore è vicina. Con l’immagine dell’agricoltore, ricorda che la pace del cuore è frutto della costanza e della perseveranza nella fede. Gesù viene, e questa venuta ha davvero una potenza rinnovatrice in grado di suscitare speranza e gioia.
Il Vangelo ci presenta ancora la figura di Giovanni il Battista, che sembra vivere un iniziale momento di incertezza circa l’identità di Gesù, tanto da inviare alcuni dei suoi discepoli per porre al Signore la domanda decisiva: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Quante volte siamo assaliti dai dubbi e ci sembra che Gesù non sia più lui, non corrisponda più all’idea che di lui ci siamo fatti. Quante volte ci lasciamo attrarre da altri “messia” che promettono benessere e serenità, o finiamo per aspettare altro o altri, dimenticandoci che l’unico che ci può salvare è solo il Signore.
La risposta di Gesù è per questo ancor più incisiva. Non dice infatti né si né no, ma fa parlare i segni che Egli compie: guarire, liberare, consolare, liberare, restituire la vita. È un richiamo alle parole profetiche di Isaia, per dire che proprio dalle opere Egli compie si evince la sua identità di Messia, in cui si realizzano le antiche promesse.
Gesù si lascia andare quindi ad un grande elogio di Giovanni, del quale loda la fermezza, l’austera povertà, la totale libertà. Giovanni è più che profeta perché ha il compito non solo di annunciare la venuta, ma di indicare la presenza del Figlio di Dio. Egli è il più grande tra i nati di donna e insieme, il più piccolo nel Regno, perché ha donato fino in fondo la sua vita per il Signore. Come Giovanni, anche noi siamo chiamati ad essere “messaggeri” della gioia e dell’amore di Cristo.