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L’Ortobene
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
L’immagine di Gesù che si commuove e che freme interiormente dinanzi alle necessità del popolo non è rara nei Vangeli, ma conserva sempre una carica dirompente. Troppo spesso infatti ci dipingiamo un Dio asettico, distante, spettatore. Facciamo fatica a considerare pienamente le conseguenze dell’Incarnazione, mediante la quale Dio ha scelto di unirsi inscindibilmente alla nostra umanità, diventando quindi non un estraneo, ma un compagno di cammino.
È anche la consegna della prima lettura, in cui Dio si mostra guida e custode di Israele pellegrino verso la terra promessa. È un Dio coinvolto nella nostra storia, che condivide le fatiche e gli entusiasmi del cammino, che soprattutto è in grado di comprendere, molto più di noi stessi, quali siano i nostri bisogni più profondi e anche più veri.
Le parole del libro dell’Esodo parlano di tenerezza, di attenzione, di premurosa vicinanza. Dio ha sollevato il popolo «su ali di aquile» per liberarlo dalla schiavitù e lo ha avvicinato a Sé. Questo amore di Dio reclama l’amore del popolo verso il suo Signore, che si esprime anzitutto con una scelta, un impegno solenne da realizzare attraverso due grandi atteggiamenti: ascoltare la Parola e corrispondere all’alleanza.
In questo modo, ricorda il testo, Israele diventa la proprietà particolare di Dio. Sapere di appartenere al Signore dona al nostro cuore pace e consolazione, perché se apparteniamo a Lui, possiamo essere certi che Lui si prenderà cura di noi in ogni istante e in ogni situazione. Siamo per Dio un «regno di sacerdoti» e una «nazione santa».
Proprio nel Vangelo di Matteo, ecco che Gesù porta a compimento questa prossimità di Dio nei confronti del suo popolo, di ciascuno di noi. Egli vede il popolo disperso e confuso e le sue viscere di misericordia fremono di compassione. Ma ciò che sorprende è che Egli desidera che anche altri condividano con Lui questo fremito interiore, chiede la nostra collaborazione, mostra di aver bisogno di noi perché il Vangelo venga annunziato e testimoniato.
Il Signore si fida di noi anche quando noi stessi manchiamo di fiducia e ci riteniamo inadeguati. L’invito a pregare il «signore della messe» perché non manchino gli operai, si unisce infatti immediatamente ad una libera decisione del Signore, che chiama a Sé coloro che Egli ha scelto come amici e collaboratori. La risposta alla dispersione del gregge è proprio l’elezione di nuovi pastori, ai quali Gesù affida non solo la sua Parola da portare, ma offre loro anche tutta l’autorità, tutti i doni e i carismi perché l’annuncio sia fruttuoso e umanamente liberante.
L’elenco dei nomi dei dodici Apostoli, ci ricorda che ognuno di essi rimanda ad una persona concreta, con il proprio carattere, i propri limiti, le proprie potenzialità. Ci ricorda che Gesù chiama non in base a criteri umani, ma scorgendo nel cuore una luce che Lui solo può vedere. Ci conferma che, indipendentemente dal nostro passato, dalla nostra storia costellata di infedeltà, Gesù sceglie ciò che è umanamente debole, disprezzato, sottovalutato, appunto perché rifulga sempre più la sua opera.
Il mandato agli Apostoli è gravoso ma entusiasmante. Gesù lo racchiude in una serie di imperativi: «predicate, guarite, risuscitate, purificate, scacciate». Al centro di questa missione vi è anzitutto la consapevolezza che l’apostolo non è tale per sua iniziativa né tantomeno per privilegio. Tutto deriva dalla libera iniziativa del Signore, che chiama, costituisce, invia. L’autorità di cui gode l’apostolo non è sempre un dono del Signore. Egli stesso, con la potenza dello Spirito Santo, accompagna l’annuncio con quei segni che indicano particolarmente la sua predilezione per i poveri, per gli scartati, per i sofferenti.
La missione è anzitutto riconoscenza per un dono ricevuto, totalmente immeritato, gratuito. Proprio in nome della gratuità del ricevere, ha senso anche la gratuità del dare. In fondo, vero testimone di Gesù è chiunque comprende la preziosità di ciò che ha ricevuto, e non potendo contenere la gioia, lo condivide con gli altri.