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L’Ortobene
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di Nuoro n. 35/2017 V.G.
CRON. 107/2017 del 27/01/2017
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
«Si volge ad attendere il futuro solo chi non sa vivere il presente»: la saggezza della letteratura classica antica ci consegna questa massima che è sempre valida nonostante lo scorrere delle diverse epoche e tipologie di società. Ancora oggi esiste per tutti il problema del futuro: alcuni diventano vittime di sé stessi nella ricerca di ciò che accadrà (finendo nelle mani sbagliate di chi li illude di poter rivelare ciò che non si conosce ancora), altri lo risolvono dicendo di non pensarci e affrontando la vita passo dopo passo. In realtà nessuno può ammettere di non pensare al domani e di progettare: passiamo tutta la vita a preoccuparci del nostro futuro, come se prevederlo e pianificarlo potesse in qualche modo attutire gli eventuali colpi. Il futuro è la dimora delle nostre paure più profonde e allo stesso tempo delle nostre speranze.
Come può un credente pensare al futuro? Nessuno può aiutarci se non chi ha in mano ciò che è stabile e quindi supera i limiti temporali: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mc 13, 30). Tutto ciò che è stato creato ha un carattere transitorio, ma la Parola che crea rimane per sempre: è un richiamo all’inizio delle Scritture, ai racconti della Genesi. Di fronte a ciò che appare instabile, c’è qualcosa che rimane saldo ed immutabile.
La pagina evangelica, a una prima lettura, può suscitare in noi un senso di ansia che si manifesta nelle tenebre che prevalgono sulla luce: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo» (Mc 13, 24-27). Lo stile di Gesù non è quello di provocare paura perché questa è il peggior nemico della fede, Lui ci fa capire che occorre cogliere i segni della sua presenza. «Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte» (Mc 13, 28-29). Possiamo imparare dalla parabola del fico, che germoglia tardi in primavera rispetto a tutte le altre piante: abbiamo bisogno di molto tempo per far sì che da quel germoglio così fragile possa nascere una fede più sicura. La speranza ha l’immagine della prima foglia verde: quando notiamo solo le foglie ingiallite e cadenti che simboleggiano l’incertezza e la paura del futuro, dobbiamo saper attendere e guardare verso ciò che può rinascere. «Il futuro non ci appartiene, ma sappiamo che Gesù Cristo è la più grande grazia della vita: è l’abbraccio di Dio che ci attende alla fine, ma che già ora ci accompagna e ci consola nel cammino» (Papa Francesco).