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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Cosa è veramente essenziale per dirci ed essere autenticamente cristiani? Se a questa domanda diamo “troppe” risposte, si perde di vista il centro e non si riesce a focalizzare appieno ciò che rende un uomo un autentico discepolo di Gesù.
Il cristianesimo è anzitutto adesione ad una Persona, accoglienza di un dono d’amore, disponibilità e capacità di ascolto, riconoscimento della grazia prima che un impegno personale a “fare” delle cose, che si prefigura propriamente come una risposta ad un’iniziativa che ci interpella, che non viene da noi, ma appartiene in primis a Dio.
L’adesione alla persona di Cristo richiede al cuore dell’uomo anche l’adesione alla sua Parola, che diventa l’alveo in cui muoversi nella vera libertà per conservare l’amicizia col Signore. È questo il senso delle “regole” che accompagnano necessariamente il nostro personale e progressivo “sì” al Signore.
Leggendo il brano liturgico della Lettera ai Romani si trova proprio la risposta a questi interrogativi. Che cosa contraddistingue il cristiano, che cosa lo rende veramente tale, cosa ne fa un testimone credibile? È semplicemente l’amore. Paolo non teme di affermare che «pienezza della Legge infatti è la carità», spiegando come anche i comandamenti dell’antica legge trovano la loro ricapitolazione nell’unico e vero comandamento, che è proprio quello della carità vicendevole, che diventa espressione della carità di Dio. È questo ciò che dobbiamo cercare, è l’amore il vertice a cui dobbiamo tendere, la pienezza da cui siamo attratti e verso cui, anche se non ne siamo coscienti, siamo incamminati.
Questo non riguarda solo il cristiano, giacché l’amore, quello vero e intramontabile che solo il Signore ci può offrire, è anche il fine ultimo a cui ogni uomo tende. Siamo nati per amore, per amare, per essere amati, per entrare nella circolazione d’amore che in Dio Trinità trova il suo vertice di intensità, ma che nella comunità degli uomini deve rendere presente l’Amore stesso che unisce il Padre e il Figlio.
Oggi “amore” è una parola talmente carica di significati più o meno contradditori, che alla fine è stata totalmente svuotata del suo contenuto più nobile e più vero. Il Signore, tramite Ezechiele, si rivolge a ciascuno di noi: «Ti ho posto come sentinella». Una sentinella vigila, osserva, avverte del pericolo e rasserena in tempo di pace, scruta l’orizzonte, e lo fa non per se stessa, ma per coloro che è chiamata a proteggere. Ezechiele quindi ricorda a ciascuno di noi che siamo responsabili del fratello e della sorella che il Signore ci affida e che abbiamo accanto, e non possiamo far finta di niente, nascondere la testa sotto la sabbia, preferendo il quieto vivere alla chiamata divina.
La correzione fraterna, introdotta dalla prima lettura e poi ripresa dal Vangelo, è una forma altissima di carità. La carità è indissolubilmente unita alla verità, e la verità è indissolubilmente unita alla carità. L’una non esiste senza l’altra. Carità senza verità è buonismo, verità senza carità è dispotismo.
Ezechiele ci ha avvertito: se non parliamo al malvagio perché desista dalla sua condotta, Dio chiederà conto a noi della sua morte a causa della sua malvagità. Quasi a dire: se vediamo un errore, se non interveniamo nella verità e nella carità per correggere, rischiamo di caricarci di quell’errore.
Occorre sempre indicare la retta via, mostrare dove è la verità. Se la persona non accoglie la correzione, la si affida amorevolmente al Signore, ma guai a far finta di niente. Gesù ce lo dice ancora: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo», indicandoci anche una metodologia concreta: «tra te e lui solo», «con due testimoni», «dillo alla comunità».
Amare è avere a cuore la vita dell’altro, voler bene è volere il bene dell’altro. Stiamo attenti a non fuggire dinanzi alla nostra responsabilità, ma impegniamoci a testimoniare la carità essendo luce gli uni per gli altri.