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L’Ortobene
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Autorizzazione del Tribunale
di Nuoro n. 35/2017 V.G.
CRON. 107/2017 del 27/01/2017
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Qualche anno fa celebrai il funerale di Michela, una giovane universitaria che era stata investita mentre rientrava a casa. I familiari avevano donato gli organi a 5 malati in attesa. Un giovane della parrocchia, dopo aver ascoltato l’omelia al funerale, compose in ricordo di lei una canzone dal titolo Perché, della quale riporto alcune parole: «Come pane spezzato hai donato la vita, non c’è amore più grande che dare la vita». Quante persone ogni giorno diventano pane spezzato per i fratelli, nel donare tempo, accoglienza, servizio, gesti e parole di amore.
Ogni gesto di amore che facciamo è il prolungamento dell’Eucarestia che celebriamo. Nell’Eucarestia Gesù si dona a noi, diventa nostro cibo e decide di restare sempre con noi. La festa del corpus domini rimette al centro della vita di una comunità l’Eucarestia, sottolineando l’aspetto del nostro nutrimento nella celebrazione della messa, ma anche il voler condividere con Gesù tutta la nostra vita quotidiana. Il tabernacolo non è “l’armadio chiuso” dove riporre le ostie consacrate ma il luogo in cui Dio è sempre con noi. È il luogo dell’adorazione e del dialogo personale con Cristo da dove partire per portarLo nella vita concreta.
Santa Teresa di Calcutta ci ricorda: «La nostra vita e il nostro lavoro di amore tra i più poveri dei poveri sono il prolungamento del sacrificio eucaristico che abbiamo offerto. Adoriamo Gesù nell’Eucarestia e lo serviamo e amiamo nei più poveri dei poveri. Quanto più tenero è il nostro amore per Gesù, pane di vita nell’Eucarestia, tanto più tenero sarà il nostro amore per Cristo assetato nei più poveri dei poveri».
Ecco il seno della pagina di Vangelo di oggi: le folle che ascoltano Gesù sono il segno dell’umanità di ogni tempo a cui la comunità cristiana è chiamata a dare il pane da mangiare. Quale pane? Se noi accogliamo il dono dell’Eucaristia, è indispensabile portare ai fratelli il pane dell’amore, della vicinanza, dell’ascolto. Una comunità che celebra ma tiene le porte del cuore chiuso è una non comunità che vive di ritualismo e di intimismo.
Spesso sentiamo affermazioni del tipo: faccio la mia comunione e sono a posto. È come essere ad un banchetto e guardare solo in direzione del proprio piatto, mentre la bellezza del banchetto è la condivisione della gioia di essere amici. Papa Francesco ci ammonisce: «Di fronte alla necessità della folla, ecco la soluzione dei discepoli: ognuno pensi a sé stesso; congedare la folla! Quante volte noi cristiani abbiamo questa tentazione! Non ci facciamo carico delle necessità degli altri, congedandoli con un pietoso: “Che Dio ti aiuti”. Ma la soluzione di Gesù va in un’altra direzione, una direzione che sorprende i discepoli: “Voi stessi date loro da mangiare” […] È un momento di profonda comunione: la folla dissetata dalla parola del Signore, è ora nutrita dal suo pane di vita. E tutti ne furono saziati».
L’invito del Signore «Voi stessi date da mangiare» ci dà la misura di come Dio ha investito tutto Sé stesso affinché noi sapessimo rispondere a questa vocazione così sproporzionata, irrazionale e illogica. Davanti a questo invito molti se ne vanno, brontolano: “Ti rendi conto che mi chiedi una cosa impossibile?”. Non si rendono conto che sono proprio loro la causa dell’impossibilità, impedendo in sé stessi e negli altri il progetto di Dio. Questo invito può essere letto in due modi: sfamate questa folla, date loro del cibo, fate in modo che tutti possano saziarsi. Siate voi il cibo di quella folla, offritevi, donatevi, lasciatevi mangiare, mettete a disposizione il vostro tutto, non il vostro quanto. Sono necessari questi cinque pani per passare dall’impossibile al possibile, per uscire dal ripiegamento e diventare dono.
Il Signore ci insegna anche che la sua Parola deve incontrare l’umanità: senza pane terreno, non possiamo arrivare al Pane del cielo. Senza sperimentare la nostra umanità, non possiamo conoscere a quale santità siamo chiamati. «Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste». È il miracolo dell’amore.
Il nostro dono è in quelle dodici ceste avanzate, continua il suo viaggio, diventerà cibo di altre folle desiderose di infinito, di chi si pone domande senza risposta, di chi si chiede “come è possibile”. Siamo diventati pane di Dio, Eucarestia che si realizza tutte le volte in cui andiamo oltre noi stessi, e il modello è Gesù. Anche Lui si è offerto, il suo sì è stato accolto, benedetto, spezzato (la croce è lì a dirci come) e dato. Il dono di Gesù continua nei secoli, e va oltre il tempo e lo spazio di questo nostro mondo. Anche il nostro dono diventa eterno, e neanche una briciola andrà perduta.