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L’Ortobene
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
La parola di Dio di questa domenica inizia nella prima lettura con un “guai” (agli spensierati di Sion), continua, nella seconda, con un fraterno ammonimento di Paolo a Timoteo (uomo di Dio) “tendi alla giustizia”, si completa nella pagina di Vangelo con la parabola del ricco epulone che Gesù racconta ai farisei, che si ritenevano “uomini di Dio”.
Nella prima parte della parabola è descritta una situazione ingiusta, ma purtroppo ancora oggi abbastanza comune: c’è qualcuno che vive troppo bene e qualcuno che vive nella povertà totale. Il ricco vive estraneo alla sofferenza degli altri e sembra che abbia una sola occupazione, banchettare, e da questo è definito da Gesù come epulone. Distanziato dall’abisso dell’egoismo e dalla mancanza di solidarietà c’è il povero, che passa il suo tempo desiderando ciò che cade dalla mensa. Nel pensiero di Gesù, il ricco non è uno sfruttatore, che opprime senza scrupoli. Non è questo il suo peccato. Il ricco si gode senza nessuna preoccupazione le sue ricchezze, senza avvicinarsi alle necessità del povero Lazzaro.
La ricchezza in sé non è male, lo diventa quando diventa unica ragione di vita che esclude altre scelte. Non fa crescere l’uomo, ma lo distrugge e lo disumanizza, perché lo rende un poco alla volta indifferente, ed egoista di fronte alla disgrazia altrui. Con la morte di entrambi, Gesù esprime un giudizio duro sulla vita dei protagonisti, specialmente viene fatto emergere quanto la vita dell’epulone fosse ricca di solitudine.
La parabola continua con il dialogo tra il ricco e Abramo. Il problema di tutto è il cuore del ricco, non le sue ricchezze; esistono santi ricchi e santi poveri, come ci sono cattivi sia tra i poveri che tra i ricchi. Gesù ci invita a scavare fino al cuore e contemplare tutto il vuoto che esso contiene, se non è abitato dall’amore e dal dono. Vestiti costosissimi, feste e divertimenti da sballo rendono ancora più vuota l’esistenza, fino al suo annullamento, la tomba. Lazzaro dal canto suo, non è buono in quanto povero: è questo l’errore che spesso commettiamo. La povertà non migliora la vita di nessuno, anzi.
Il messaggio di questa parabola è quello di donare il meglio di sé stessi agli altri, poveri o ricchi che siano. La vita del ricco è finita in un totale fallimento: ha sbagliato il senso della vita. A che cosa è servita tanta ambizione di denaro e di piacere, tanti possedimenti, azioni…, se ha perso la vita vera? (Mt 16,26). Muore soddisfatto di tutto, ma in realtà non aveva niente. Alla luce della morte, appare ciò che c’è di veramente importante. I ruoli cambiano e l’ideologia del potere si disintegra nella testa del ricco. Adesso è lui che ha bisogno e Lazzaro è il suo unico possibile benefattore. Ma ormai è tardi.
Il ricco è un giudeo religioso, dal momento che riconosce Abramo e lo chiama “padre”. Abramo gli risponde e lo chiama “figlio”. I ricchi, durante la loro vita, hanno la possibilità di convertirsi in figli di Abramo. La salvezza per il ricco non consiste nel fatto che Lazzaro porti una goccia d’acqua; quello che deve fare è aprire la porta che è rimasta sempre chiusa per il povero. Il ricco non si era mai preoccupato per il povero, adesso si preoccupa per i suoi fratelli. Lazzaro è l’unico intermediario tra Dio e i ricchi, perché solo restituendo a lui, si può ristabilire la giustizia necessaria per dare culto a Dio. I cinque fratelli sono ancora in vita e così hanno la possibilità di convertirsi. Ma non sarà attraverso segnali straordinari ma per la libera e personale scelta. È sufficiente l’ascolto della parola di Dio: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro!». È la strada sicura per la conversione. Il ricco e i suoi fratelli sembrano sordi a questo insegnamento. E quindi non cambieranno di vita anche se risuscitasse un morto. Ed è proprio successo così: il morto è risuscitato, Gesù, ma i giudei non hanno creduto.
Troppe volte anche oggi i cristiani affermano la fede in Cristo risuscitato, senza che questo però impedisca di negare al povero Lazzaro le briciole che cadono dalla nostra mensa. Ritorniamo alle fonti della nostra fede e scopriamo che Dio continua a giocare le sue carte a favore dei poveri, e che fare la scelta per Gesù è fare la scelta a loro favore. La parola di Dio ci giudica, come il ricco della parabola, in una maniera irrevocabile. Siamo chiamati ad una vera conversione che diventa testimonianza e profezia: in un mondo di troppi poveri e di pochi ricchi, il cristiano è chiamato ogni giorno a ribaltare una mentalità sbagliata dove l’apparire, l’avere diventano stili di vita e creano forti conflitti sociali. Potremo testimoniare il Vangelo solo nel cambiare nella quotidianità una mentalità sempre più diffusa: l’avere ad ogni costo anche delle ingiustizie sociali più grandi.
«Non si deve misurare la virtù di un uomo dalla sua eccezionalità ma nel quotidiano» (Blaise Pascal).