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L’Ortobene
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Un tempo «eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce». Le parole di San Paolo ci giungono come annuncio di salvezza e rinnovato invito alla conversione. È passato il tempo della tenebra ed è arrivata la luce. Gesù stesso è questa luce; Egli è il sole di giustizia che brilla su di noi e in noi, vincendo l’oscurità del peccato e inondandoci della luce dell’amore.
Al dono di questa luce, continua San Paolo, dobbiamo corrispondere con il nostro comportamento. Essere luce nel Signore richiede di rifuggire il peccato, ma anche tutte quelle situazioni di doppiezza, di compromesso, di falsità, di menzogna, di apparenza, che del peccato costituiscono il terreno più fertile.
La Quaresima è un dono anche per questo: perché la Parola ferisce e risana, mostra la grazia e invita a corrispondervi, per vivere in quella gioia a cui siamo chiamati, come Chiesa, nel cammino verso il mistero pasquale: «Rallegrati, Gerusalemme… Esultate voi che eravate nella tristezza».
Il racconto dell’unzione regale di Davide da parte di Samuele, costituisce un richiamo forte alla realtà del nostro Battesimo. La Quaresima è periodo battesimale per eccellenza, non solo perché nella prassi della Chiesa antica, nelle domeniche quaresimali si compivano le tappe in vista del Battesimo, nella notte di Pasqua, ma soprattutto per il richiamo che la Parola continuamente ci fa ai simboli propri del Sacramento della nostra rinascita.
La consacrazione di Davide con l’olio prefigura proprio l’unzione battesimale. Lo Spirito Santo «irruppe su Davide da quel giorno in poi», esattamente come il nostro Battesimo ha segnato l’inizio della presenza dello Spirito in noi. Ma c’è un altro aspetto che dobbiamo cogliere dalla prima lettura. «Samuele chiese a Iesse: “Sono tutti qui i giovani?”. Rispose Iesse: “Rimane ancora il più piccolo”». Davide è il più piccolo dei suoi fratelli, tanto da essere quasi dimenticato. Eppure è su di lui che cade la scelta del Signore, che non vede l’apparenza, ma il cuore. Oltre alla virtù dell’umiltà, in questo possiamo cogliere una chiara indicazione del modo di agire di Dio, che sceglie proprio ciò che il mondo tende a scartare.
Il Vangelo ci presenta un altro incontro, un altro “cercato”, su cui si posa lo sguardo di Gesù che passa lungo la strada: il cieco nato. È un testo che mostra ancora una volta la vicinanza di Gesù a chi ha bisogno di redenzione e salvezza, ma anche l’abissale distanza che si sta creando tra Lui e i “giudei”, che continuano a non capire né la sua missione né la sua identità, quasi che si dialoghi su due piani paralleli.
Superata la concezione che la malattia del cieco fosse una sorta di castigo divino in conseguenza di un grave peccato, Gesù, “luce del mondo”, rivela il vero senso della situazione: la malattia è perché si manifesti nel cieco l’opera di Dio, cioè la salvezza attraverso il Figlio.
Gesù compie poi un gesto particolare: impasta del fango e lo pone sugli occhi del cieco e lo manda alla piscina di Siloe a lavarsi. È un gesto di ri-creazione, in cui Gesù fa ciò che Dio ha già fatto creando l’uomo: lo plasma dal fango. Così, Gesù “crea” nuovamente il cieco, gli ridà la nuova vita, lo riporta alla condizione originaria.
Non è la prima guarigione che Gesù compie, eppure questa si trascina dietro una lunga polemica, dettata da una motivazione decisamente secondaria: i farisei protestano perché in giorno di sabato Gesù ha impastato del fango per metterlo sugli occhi del cieco. Ha violato il sabato compiendo un lavoro manuale! E se Gesù non osserva il sabato, non è da Dio.
Infine, ecco la loro “confessione”: «Costui non sappiamo di dove sia». Non conoscono Gesù. Non comprendono che Lui viene da Dio, perché il loro cuore è ottenebrato dalla presunzione. Loro sono i veri ciechi. E anche noi lo siamo, se non riconosciamo Gesù e non crediamo in Lui.