La fiduciosa pazienza del contadino
Commento al Vangelo di domenica 16 giugno 2025 - XI Domenica del Tempo ordinario - Anno B
di Andrea Biancu
Vincent Van Gogh, Il seminatore (1888), Van Gogh Museum, Amsterdam
3' di lettura
14 Giugno 2024

La pagina prevista dalla liturgia di questa domenica ci presenta la parte centrale del capitolo 4 del Vangelo di Marco, che si apre con la parabola del seminatore. Per parlare del regno di Dio, Gesù racconta le due micro-parabole che hanno come riferimento sempre il seme, immagine semplice e facilmente comprensibile alla folla, come sottolinea l’evangelista: «con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere» (Mc 4, 33).

Nella prima parabola il protagonista nascosto è la pazienza del contadino: una volta affidato il seme alla terra e aver svolto il suo compito lui se ne va, per ritornare quando il frutto sarà maturo. Il suo ruolo è quello di attendere, senza darsi troppe spiegazioni, ma con la certezza che «dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa» (Mc 4, 27). Ci sono situazioni che non riusciamo a comprendere appieno e il rischio è quello di cedere all’impazienza, voler avere una cognizione e quindi una risoluzione il più possibile immediata. La nostra società del “tutto e subito” ci ha disabituato alla pazienza fiduciosa del contadino: come riappropriarsi della capacità di attendere? L’agricoltore vive il presente del passaggio delle stagioni nell’attesa del frutto, sa che il tempo è un fattore necessario: tuttavia, proiettato verso il futuro, ha già pianificato il suo lavoro. «Quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura» (Mc 4, 29). La gradualità dello sviluppo del seme che diventa frutto è segno che il “tutto e subito” ci accontenta solo nell’immediato: se si corre troppo, si perde il bello delle piccole cose, dei minimi gesti, della creazione lenta di qualcosa di importante.

La seconda parabola pone al centro l’immagine del granello di senape: «quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno» (Mc 4, 31). Viene messo in luce ciò che è piccolo, fragile, inconsistente, non appariscente. Quel piccolo seme è destinato a scomparire nel buio della terra ma poi «cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra» (Mc 4, 32). Noi amiamo tutto ciò che è grande e spettacolare, il Signore ama ciò che è piccolo e umile. Questa parabola spiega la grande differenza tra le nostre misure e quella del Vangelo: arriva quel momento in cui la misura di Dio la proviamo su di noi, solo questa ci salva davvero e dall’esperienza di questa misura dobbiamo sempre ripartire. Essa ci rende più vicini all’autentica umanità, non a quella artefatta di una grandezza ostentata e spesso non veritiera. Papa Francesco, in un recente viaggio apostolico, ha detto: «La piccolezza non è un problema, ma una risorsa. Dio ama la piccolezza e ama compiere grandi cose attraverso la piccolezza». Forse dobbiamo tutti imparare a riconciliarci con la piccolezza per poi diventare realmente grandi senza apparenze.


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