Dati societari
L’Ortobene
Piazza Vittorio Emanuele 8
08100 Nuoro
–
Autorizzazione del Tribunale
di Nuoro n. 35/2017 V.G.
CRON. 107/2017 del 27/01/2017
C.F. 93003930919
–
Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
La pagina prevista dalla liturgia di questa domenica ci presenta la parte centrale del capitolo 4 del Vangelo di Marco, che si apre con la parabola del seminatore. Per parlare del regno di Dio, Gesù racconta le due micro-parabole che hanno come riferimento sempre il seme, immagine semplice e facilmente comprensibile alla folla, come sottolinea l’evangelista: «con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere» (Mc 4, 33).
Nella prima parabola il protagonista nascosto è la pazienza del contadino: una volta affidato il seme alla terra e aver svolto il suo compito lui se ne va, per ritornare quando il frutto sarà maturo. Il suo ruolo è quello di attendere, senza darsi troppe spiegazioni, ma con la certezza che «dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa» (Mc 4, 27). Ci sono situazioni che non riusciamo a comprendere appieno e il rischio è quello di cedere all’impazienza, voler avere una cognizione e quindi una risoluzione il più possibile immediata. La nostra società del “tutto e subito” ci ha disabituato alla pazienza fiduciosa del contadino: come riappropriarsi della capacità di attendere? L’agricoltore vive il presente del passaggio delle stagioni nell’attesa del frutto, sa che il tempo è un fattore necessario: tuttavia, proiettato verso il futuro, ha già pianificato il suo lavoro. «Quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura» (Mc 4, 29). La gradualità dello sviluppo del seme che diventa frutto è segno che il “tutto e subito” ci accontenta solo nell’immediato: se si corre troppo, si perde il bello delle piccole cose, dei minimi gesti, della creazione lenta di qualcosa di importante.
La seconda parabola pone al centro l’immagine del granello di senape: «quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno» (Mc 4, 31). Viene messo in luce ciò che è piccolo, fragile, inconsistente, non appariscente. Quel piccolo seme è destinato a scomparire nel buio della terra ma poi «cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra» (Mc 4, 32). Noi amiamo tutto ciò che è grande e spettacolare, il Signore ama ciò che è piccolo e umile. Questa parabola spiega la grande differenza tra le nostre misure e quella del Vangelo: arriva quel momento in cui la misura di Dio la proviamo su di noi, solo questa ci salva davvero e dall’esperienza di questa misura dobbiamo sempre ripartire. Essa ci rende più vicini all’autentica umanità, non a quella artefatta di una grandezza ostentata e spesso non veritiera. Papa Francesco, in un recente viaggio apostolico, ha detto: «La piccolezza non è un problema, ma una risorsa. Dio ama la piccolezza e ama compiere grandi cose attraverso la piccolezza». Forse dobbiamo tutti imparare a riconciliarci con la piccolezza per poi diventare realmente grandi senza apparenze.