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L’Ortobene
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08100 Nuoro
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Autorizzazione del Tribunale
di Nuoro n. 35/2017 V.G.
CRON. 107/2017 del 27/01/2017
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Il racconto della Passione, che la liturgia di questa domenica delle Palme ci fa ascoltare, occupa due capitoli del Vangelo di Marco (14 e 15). La Passione non arriva improvvisamente, quasi ad interrompere in modo brusco la narrazione delle parole e dei gesti di Gesù: è il culmine del testo evangelico, tanto che qualcuno ha definito il Vangelo come «il racconto della passione con una lunga introduzione».
Soffermiamo la nostra attenzione su una parte che possiamo definire centrale tra i due capitoli, quella dei “rinnegamenti di Pietro” (Mc 14, 66-70). Qualche versetto prima ci viene ricordato che «Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco» (Mc 14,54). Non tutti i discepoli hanno abbandonato il Maestro: Pietro lo segue “da lontano” e si mette “tra i servi”, coloro che avevano arrestato Gesù. Si trova “nel cortile”: da questa indicazione sembra che la sala del processo di Gesù stia in alto, dunque non sono molto lontani ma sono su due piani diversi. Tra il Maestro e il suo discepolo c’è un solco profondo, apparentemente ormai incolmabile. Nella sala i giudici non riescono a riconoscere in Gesù il Messia, nel cortile una serva riconosce in Pietro un discepolo del Nazareno. Ma Pietro nega il riconoscimento, rifiuta la propria identità, quella che è stata la sua vocazione. «Uscì quindi fuori del cortile» (Mc 14, 68): Pietro si vuole tirare fuori dalla relazione con Gesù e non vuole compromettersi vedendo che la situazione sta precipitando. Viene riconosciuto come discepolo e come “galileo”: agli occhi attenti della gente lui e gli altri apostoli sono una cosa sola con il loro Maestro. Per quanto se ne distacchino, non possono cancellare quella comunione di vita che li ha uniti a lui. Come loro, anche noi possiamo abbandonare il Signore ma non smettiamo di appartenergli: non si può rinnegare la propria identità.
Per rafforzare questo distacco Pietro non si limita solo a dire di non conoscere Gesù: «egli cominciò a imprecare e a giurare» (Mc 14, 71). Nel distacco dalla fede ci può essere questa drammatica possibilità: si può iniziare a maledire ciò che prima si considerava non solo come importante ma necessario, essenziale per la propria esistenza. La maledizione nasce da una profonda delusione e dal senso di smarrimento di Pietro: è un momento di rabbia interiore che prende il sopravvento e lo porta a rinunziare a una relazione vitale: «Non conosco quell’uomo che voi dite».
Il canto del gallo è come una sveglia del cuore e della mente: è l’alba e il sole sta per sorgere, ma occorre ancora attendere che le nubi oscure si diradino e venga la luce. È anche il momento del pianto liberatorio: Pietro prende coscienza di ciò che ha detto e fatto «e questo lo porta a un incontro nuovo con Gesù, alla gioia del perdono, quella sera quando ha pianto» (Papa Francesco). Con gli occhi pieni di lacrime ha vissuto la “sua” Pasqua: dall’alto della croce il Maestro lo ha già perdonato e lo attende Risorto in Galilea, dove tutto è cominciato, per riabbracciarlo.