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Francesco Mariani
«Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa». Dovremo tutti sentire un fremito nell’ascoltare queste parole, che concludono il brano liturgico della seconda lettura di questa domenica. Sono parole densissime, forti, esigenti, con cui Pietro vuole ricordare a tutti noi il singolare dono dell’appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa, che chiama ogni cristiano ad essere testimone delle “opere ammirevoli” che Dio realizza.
Attraverso l’immagine delle pietre vive, ancora Pietro ci ricorda che la Chiesa è un “edificio spirituale”, di cui tutti facciamo parte, in cui ogni pietra occupa uno spazio preciso, essenziale. Pietra angolare di questo edificio è Gesù stesso. Una sola pietra forse è poca cosa, ma le pietre compaginate insieme, formano un meraviglioso intreccio d’amore, il cui collante è proprio Gesù, con il dono pasquale dello Spirito. Sapere di essere stati acquistati da Dio per essere «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa», riempie il cuore di consolazione, perché ci fa entrare in quel mistero che è la Chiesa, nella quale incontriamo il volto del Risorto.
La prima lettura, tratta dal libro degli Atti, ci dona luce per due aspetti importanti della vita della comunità cristiana. Anzitutto, fotografa una situazione di dissenso e di mormorazione. I nuovi discepoli di lingua greca si lamentano perché le loro vedove sono trascurate nell’assistenza ai poveri. Non è un problema di poco conto, soprattutto perché intacca l’equità, come se esistessero poveri di due categorie diverse.
Spesso ci si lamenta, anche oggi, dell’esistenza all’interno della Chiesa di mormorazioni di vario genere. Lungi dal lasciar perdere, occorre invece fermarsi e cercare, nella luce dello Spirito Santo, per il bene della Chiesa e della salvaguardia della sua unità, la soluzione più giusta, rivoluzionaria se necessario. Infatti, gli Apostoli decidono di affidare il compito dell’assistenza ai poveri e della cura delle mense a sette uomini «di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza». È la nascita del ministero diaconale. Gli Apostoli, invece compiono una chiara scelta di campo, verso ciò che è davvero essenziale, quasi paradigmatica: si dedicano alla preghiera e alla Parola.
Il Vangelo ci porta nel cosiddetto “discorso d’addio” del Vangelo di Giovanni. Siamo in un momento di particolare intimità tra Gesù e i suoi discepoli, in cui il Maestro si confida e apre dinanzi ai suoi i grandi tesori del Regno. Il brano del Vangelo si apre con la descrizione della nuova familiarità col Padre a cui i discepoli sono chiamati. Dio è il fine della nostra vita. L’uomo è chiamato a dimorare presso il Padre, ad essere unito a Lui.
«Tu ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in te», confessava con convinzione Sant’Agostino. Ritroviamo il coraggio di ammettere a noi stessi che niente di ciò che ricade sotto il nostro sguardo può riempire e soddisfare pienamente quel bisogno incessante d’amore e di senso che ci portiamo dentro!
Gesù quindi, si auto-proclama “via” per raggiungere il Padre e questo scatena la reazione di Tommaso. Gesù quindi esplicita ancora la sua auto-rivelazione: «Io sono la via, la verità, la vita», con cui Gesù chiarisce la sua particolare intimità con il Padre, in seguito alla domanda di Filippo. Gesù è la via che porta alla salvezza, attraverso la verità della sua Parola, per farci entrare nella vita nuova della comunione piena con Dio.
«Mostraci il Padre», è la preghiera di Filippo. Vorremmo intenzionalmente fare nostre queste parole di invocazione, sicuri che attraverso il volto di Gesù, incontriamo il volto del Padre. Gesù rimane nel Padre e il Padre rimane in Lui. Questo “rimanere”, per dono singolare della grazia, non è esclusivo. Siamo chiamati ad esserne partecipi, a rimanere anche noi in Gesù e nel Padre, quasi immersi nella loro stessa familiarità e intimità.