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L’Ortobene
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di Nuoro n. 35/2017 V.G.
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Direttore Responsabile:
Francesco Mariani
Abbiamo iniziato la lettura del capitolo 25 del Vangelo di Matteo, che presenta le tre parabole “escatologiche”. Già nella parabola delle vergini sagge e stolte, attraverso l’immagine dell’olio che deve alimentare le lampade dell’attesa, Gesù aveva annunciato la duplice tensione che l’uomo vive in relazione alla storia: la necessità di vivere bene il tempo presente, “alimentandolo” con la preghiera e la fede ardente, e, in secondo luogo, la proiezione verso la piena e definitiva attuazione del Regno di Dio con il ritorno glorioso dello Sposo, che ammetterà al banchetto nuziale coloro che saranno trovati pronti ad attenderlo.
La parabola successiva, che leggiamo in questa domenica, è quella dei talenti, che sottolinea di più l’aspetto dell’impegno di una vita operosa, evidenziando che, del modo in cui avremo condotto la nostra vita e di come avremo saputo farla fruttificare, noi dovremo rendere conto, quando il Signore certamente tornerà.
La vita è un dono, non ci appartiene totalmente: non possiamo sprecarla appresso alle cose del mondo, che mai sazieranno appieno l’interiore sete di assoluto dell’uomo. Essa è il primo “talento” che ci è affidato. Proprio perché saremo chiamati a rendere conto della nostra esistenza, conseguenza vuole che la vita vada vissuta responsabilmente, assumendoci il rischio e le conseguenze delle scelte che facciamo o non facciamo, sia in rapporto a Dio, che al nostro prossimo e al cosmo intero. Non abbiamo vie di fuga. Esistiamo perché abbiamo un senso, nel grande “senso” della storia, che è incamminata incontro al Signore. A Lui perciò tutto deve essere ricondotto.
Dio ha fiducia nell’uomo. Questo è il primo insegnamento della parabola. Un padrone, di cui nulla si dice, mostra di fidarsi a tal punto dei suoi servi, tanto da consegnare loro tutti i suoi beni, affinché li amministrino con creatività, facendoli così fruttare nel tempo della sua assenza. Egli conosce i suoi servi, affida a ciascuno secondo le sue capacità: ad uno da cinque talenti, ad un altro due, ad un altro ancora un solo talento. L’atteggiamento dei servi è importante: i primi due servi vanno subito ad impiegare la somma ricevuta; il terzo servo, anziché trafficare quanto ha ricevuto, va a sotterrare il suo talento.
Il Vangelo sottolinea che il padrone torna «dopo molto tempo» e giustamente intende «regolare i conti». Non siamo padroni di quanto abbiamo ricevuto, ma tutto ci è stato donato, e ne dobbiamo rendere conto! Dovremmo avere il coraggio di fermarci un istante e chiederci cosa abbiamo ricevuto da Dio, e con altrettanto coraggio valutare cosa ne abbiamo fatto. E non si tratta solo delle “cose” ricevute, ma pensiamo ad esempio anche agli affetti che il Signore ci ha donato.
I primi due servi, che hanno impiegato quanto ricevuto, ricevono la lode del loro padrone e sono resi partecipi della sua stessa gioia, come se da servi diventassero suoi familiari. Presentarci a Dio restituendogli quanto Lui ci ha donato e, in più, il frutto del nostro personale impegno, ci fa entrare in una nuova relazione con Lui. Egli smette di essere “padrone” e diventa “padre”, perché condivide con noi la sua stessa gioia.
Non succede così con il terzo servo, che descrivendo la serietà e la severità del padrone, non comprende il senso del dono ricevuto, non riconosce di totale fiducia del padrone nei suoi confronti, non apprezza la bellezza della relazione nuova con lui. Sotterrare il talento significa infatti misconoscere la sapienza e la generosità di Dio. Il padrone, infatti, punisce il servo perché non ha compreso che la logica di Dio non è quella del contratto, ma quella del dono gratuito.
Viviamo allora un tempo di grazia. Ogni istante della nostra vita è un talento che riceviamo dalla fiducia e dalla generosità di Dio. Sta a noi decidere se e come impiegarlo. In fondo, il Signore una cosa sola ci chiede: non sprecare quello che Lui ci ha donato.